L’oracolo viaggiò cavalcando, come sempre. Di quando in quando passavamo accanto a piccoli acquitrini o a laghetti semiasciutti. Il cielo era caliginoso. Hani Akhar rimaneva appena visibile.
Nel pomeriggio inoltrato arrivammo in cima a una salita. Sotto di noi c’era un lago. Era molto più vasto degli altri che avevamo incontrato, dalla forma irregolare e pieno di minuscole isolette. Le rive erano paludose e vi cresceva l’erba enorme a mucchi.
Nia disse: — Conosco questo posto, benché non ci sia mai stata prima. È il Lago degli Insetti e delle Pietre. Ci troviamo nel territorio del Popolo dell’Ambra. Loro vengono qui in autunno durante il viaggio verso sud. Pescano e cacciano uccelli, ed eseguono cerimonie in onore della montagna.
L’oracolo fece il gesto dell’approvazione. — Un altro luogo sacro.
Scendemmo. Il cielo era limpido a occidente e il sole era basso. L’acqua luccicava e facevo fatica a vedere. Passammo accanto a una macchia di erba enorme. Il lago era solo a qualche metro di distanza. Le canne si muovevano al vento. L’acqua brillava. Qualcosa mugghiò. Era proprio di fronte a me ed emergeva con un gran fracasso dalle canne, impennandosi. Mio Dio! Era alto tre metri! La bocca era aperta. Le zampe anteriori erano protese verso di me, gli artigli aperti. Un altro muggito! L’animale che cavalcavo mosse di scatto la testa. Le redini diedero uno strappo fra le mie mani. Il cornacurve recalcitrò e mi ritrovai disarcionata. Un istante dopo atterrai con violenza al suolo. La scossa mi percorse da parte a parte e gridai. Poi mi ritrovai ritta in piedi.
— Tirati indietro — mi disse Derek. — Lentamente. Non spaventarlo.
Feci un passo indietro. Derek era al mio fianco. Non riuscivo a vedere Nia, né l’oracolo, né il mio cornacurve. Lo pseudo-dinosauro emise un altro muggito, ma non si mosse. Ora, per la prima volta, lo vedevo chiaramente. Alto tre metri. All’inferno! Erano più probabilmente quattro. Aveva il ventre di un rosa acceso e una cresta di piume gialle. Le zampe anteriori e le spalle erano di un color grigioazzurro scuro.
Feci un altro passo. La creatura sibilò. La bocca aperta era piena di denti. Denti smussati. Era un erbivoro. Ma gli artigli erano lunghi e affilati. Per scavare? Combatteva? Inclinò la testa e un minuscolo occhio vivo mi fissò.
— Continua a muoverti — disse Derek. La sua voce era sommessa e tranquilla. — Un passo alla volta.
Vidi Nia al mio fianco, dall’altro lato, con in mano un coltello. Un’arma inutile contro quel mostro.
Ora lo pseudo-dinosauro faceva un altro verso, un lamento. Che cosa significava? Poi vidi qualcosa muoversi alle sue spalle, proveniente dal lago. Un altro mostro. Battei le palpebre, cercando di vedere contro sole. Questo era più piccolo dell’animale che ci fronteggiava, e camminava su quattro zampe. Aveva la schiena grigia.
— La femmina — disse Derek.
L’animale girò la testa e strappò una canna con i denti. Poi proseguì, masticando e facendo un forte suono sgranocchiante. Frammenti di canna gli penzolavano dalla bocca. Dietro venivano altri tre animali. Erano piccoli, delle dimensioni di un cane San Bernardo. Due erano quadrupedi e seguivano la madre con un’andatura dondolante. Il terzo saltellava goffamente.
— Ebbene, che cosa sai?
Continuammo a indietreggiare, allontanandoci dal maschio infuriato. Dov’era l’oracolo? Non riuscivo a vederlo.
La madre proseguì dondolandosi, seguita dai tre piccoli. Finalmente scomparvero alla vista, nascosti da una macchia di erba enorme. Il maschio sibilò, poi si voltò e seguì a balzi la sua famiglia. La spalla incominciava a farmi male. Mi cedettero le ginocchia e mi sedetti.
— Davvero interessante — osservò Derek. — Si preoccupano dei loro piccoli. Ciò contribuisce a spiegare come siano in grado di sopravvivere in concorrenza con gli pseudo-mammiferi. I mammiferoidi. Abbiamo bisogno di un intero nuovo vocabolario. O Santa Unità! Pensavo che mi sarei pisciato nei pantaloni.
Nia disse: — Uh! — Mise via il coltello. — Spero che il pazzo stia bene. Il suo cornacurve è fuggito. L’ultima volta che l’ho visto si teneva ancora aggrappato.
— Oh, mio Dio, Derek. La nostra attrezzatura. Le radio.
Lui scoppiò in una risata. — Sui cornacurve. Là fuori. — Fece un ampio gesto con la mano per indicare la pianura. — Tu stai bene?
— La spalla mi fa un male infernale e mi sono morsa la lingua. Non so quando.
Derek mi sottopose a un rapido esame. — La tua spalla non è lussata e la lingua è ancora al suo posto. Credo che te la caverai. — Si voltò a fissare la pianura. — Vado in cercadella nostra attrezzatura. Ero abituato a rincorrere i cavalli in California. I cornacurve non sono più veloci. Li raggiungerò. — Si volse verso di me. — Accampatevi qui da qualche parte. Vi troverò.
— Derek… — incominciai.
Lui si allontanò a grandi passi.
— Derek! — gridai.
Non si voltò a guardare indietro.
— È un individuo molto strano — osservò Nia.
— Sì. — Restai a osservarlo finché non scomparve alla vista, poi mi voltai a guardare Nia. — Bene, troviamo un posto per accamparci.