Derek disse: — C’era del cibo sull’isola. Carne essiccata e frutta. Ho riempito una bisaccia.
— Non è giusto, Derek. Stiamo rubando a una morta.
Lui s’inginocchiò e posò le mani sulle cosce. Rimase in quella posizione uno o due minuti, le braccia tese, la testa leggermente china, guardando il corpo sotto il mantello color ruggine. — Ascoltami, Inahooli. Prendiamo queste cose perché ne abbiamo bisogno. Abbiamo freddo. Abbiamo fame. Due di noi vengono da più lontano di quanto tu possa immaginare, e forse non torneranno mai più a casa. Credimi, non lo facciamo per malvagità, né collera, né alcun cattivo sentimento, ma per necessità. — Fece una pausa. — Ti prometto che useremo con rispetto ciò che prendiamo. Non saremo ingrati, e certamente non ci serviremo di questo come scusa per fare un viaggio di forza.
"Le cose sono andate così perché così è girata la ruota della fortuna. Accettalo, Inahooli. Non essere in collera con noi." Si alzò e tornò verso di me.
— Viaggio di forza? — dissi.
— Esperienza psichedelica di potere — rispose in inglese. — Non ho trovato un modo migliore di tradurlo. — Tornò al linguaggio dei doni. — Vorrei riavere la mia camicia.
Gliela diedi. In cambio lui mi porse la tunica. Me la infilai dalla testa. Il tessuto era soffice e caldo, simile a lana di ottima qualità. Aveva un odore di pelliccia, l’odore degli alieni.
— Prendo il cibo — disse Derek. — Dopo che avremo mangiato, potremo seppellirla.
Scavammo una fossa nella sabbia presso il lago, usando i remi come badili. Derek e l’oracolo sollevarono Inahooli e la trasportarono fino alla fossa. Una vera impresa. Ansimavano e grugnivano e una volta per poco non la fecero cadere. Io portai il mantello, cosa assai più facile. La deposero nella fossa e io la coprii col mantello.
— Aspettatemi — disse l’oracolo, e si diresse verso il boschetto.
Mi massaggiai la spalla, poi guardai Derek. Si era lavato la faccia, ma aveva ancora un aspetto orribile. Il naso era rosso e gonfio, e un occhio quasi chiuso. Aveva un livido sulla fronte sopra l’occhio.
— Perché hai fatto quel discorso a Inahooli? Per rassicurare l’oracolo.
Derek annuì col capo. — E anche me. Non si deve mai prendere senza dare una spiegazione e mai uccidere senza chiedere scusa.
— Quanto sei civilizzato, in ogni caso?
Sorrise. — Non molto.
L’oracolo tornò. Portava del cibo: una striscia di carne essiccata e una manciata di bacche fresche. Le depose nella fossa accanto a Inahooli. Poi si tolse la collana d’oro e turchese e la sistemò accanto al cibo. — Forse sarà meno furiosa se le facciamo dei doni. Anche se ne dubito. È il genere di persona che mantiene la collera. Che brutto modo di essere!
Ammucchiammo sabbia sopra il corpo di Inahooli, poi trovammo delle pietre e le sistemammo in cima alla sabbia. Una volta terminato il lavoro, l’oracolo disse: — Dovremmo eseguire delle cerimonie di prevenzione e purificazione. Ma non sono una sciamana. Non conosco le cerimonie che apprendono le donne sante. Non conosco neppure le cerimonie che apprendono gli uomini per aiutarli dopo che lasciano il villaggio. Tutto ciò che so è quello che mi ha detto la cascata. — Iniziò a cantare:
"O santo!
O essere di potere!
Perché non mi aiuti?
Che dovrei fare adesso?
"O santo!
O essere di potere!
Perché non mi aiuti?
Dimmi che cosa fare!".
Inclinò il capo e restò in ascolto. Il vento soffiava. Le canne stormivano. L’acqua sciabordava sulla riva. — Tutto quello che riesco a sentire è: "Fa’ una nuotata". Forse potremo lavarci via ciò che è successo in questi ultimi giorni.
Derek fece il gesto dell’approvazione. I due si svestirono ed entrarono nell’acqua. Si lavarono nell’acqua profonda presso le canne, poi nuotarono. Io mi preoccupavo del taglio sul braccio; non volevo bagnarlo. Non credevo neppure che la spalla mi permettesse di nuotare. Mi tolsi gli stivali, mi arrotolai i jeans e diguazzai nell’acqua bassa, cercando conchiglie e pietre lucide. Le pietre erano prive d’interesse: frammenti consumati rotondi e ovali di una sostanza nera simile a pomice. Le conchiglie erano grziose: minuscole spirali, rosa o di un tenue color lavanda. Ne raccolsi una dozzina, poi tornai sulla spiaggia. Posai le conchiglie sulla tomba. Un gesto assurdo. A che serviva quel dono? Non credevo nell’aldilà, quindi non era un tentativo di placare con un dono la collera di Inahooli. E non era sufficiente per placare il mio senso di responsabilità
— Assassina — dissi ad alta voce.
Quello stato d’animo era pericoloso. Rifiutai di abbandonarmici. Perché avrei dovuto? Il senso di colpa non faceva parte del mio patrimonio. I membri anziani della mia famiglia l’avevano disapprovato. Bisogna riconoscere gli errori e ammetterli e darsi da fare per infrangere i modelli di comportamento che portano a commetterli. Ma la colpa era sterile.