— No, Hy, no. — Pleeth avvolse le mani attorno al sigaro d’oro, lo tese a Barenboim. — Avevo vent’anni, Hy. Vent’anni, e non avevo mai posseduto una donna. Colpa di mia madre. Mio padre se n’era andato prima che io nascessi, ma lei non ha mai voluto trasferirsi in una comune. Eravamo soltanto noi due. Più tardi ho capito cos’è successo. Io ero il sostituto di mio padre, ma non dovevo rappresentare nessun pericolo. Dovevo essere incapace di far gravare il peso di un figlio sulle spalle di una donna. Mia madre mi ha raccontato tutte quelle cose sul sesso… mi ha fatto vedere quei vecchi libri su malattie antiche… forse aveva contratto una forma di uretrite, e credeva che fosse… — Pleeth rabbrividì, tirò il fiato, accelerò il ritmo delle parole. — Lei… voglio dire mia madre… non le piaceva che la chiamassero “lei”, odiava i pronomi personali… un pomeriggio è entrata nella mia stanza. La tridì era accesa, e si vedeva una ragazza… non sono mai stato uno che si eccita con le immagini, mai, Hy… quella ragazza stava ballando… ma lei, mia madre, ha detto che era una cosa sconcia… Aveva una pistola ipodermica, non so dove l’avesse trovata, e mi ha fatto l’iniezione… Mi ha costretto a inginocchiarmi davanti a lei… e mi ha fatto l’iniezione…
— Non avvicinarti — disse Barenboim, quasi senza voce.
— Avevo solo vent’anni. — Pleeth, perso nei ricordi, fissava il sigaro d’oro. — Però l’ho fregata, ho fregato mia madre… Si era dimenticata dei due giorni di grazia, Grazia! — I suoi occhi si persero un attimo nel vuoto, forse per riflettere sull’ironia di quel termine. Barenboim si agitò, irrequieto; ma Pleeth tornò padrone di sé, ricominciò a dominare la scena con il dolore che metteva a nudo. — Mi restavano due giorni per salvare il mio seme. Studiavo chimica, non mi è stato difficile conservarlo in batteriostasi… poi ho fuso questo fallo che potesse contenere il seme… lei, mia madre, non l’ha mai capito.
— Sei malato — sussurrò Barenboim.
— Non io. — Pleeth sorrise, svelò finalmente il suo trionfo segreto. — Io sono ancora attivo, Hy. Non sono come te… Possiedo ancora la mia virilità. E ho avuto anche altre donne, a volte, persino senza usare afrodisiaci… Ma nessuna di loro è mai rimasta incinta. Quando ho saputo che l’iniezione di Athene conteneva un afrodisiaco e un enzima della fertilità… Be’, esiste un uomo che avrebbe potuto rinunciare a un’occasione del genere? — Pleeth sorrise a Barenboim. Le curve rosee della sua faccia si tesero.
— Sei andato a casa sua! — La faccia di Barenboim tra una maschera di rabbia e di sorpresa. — Hai rischiato un affare da un miliardo di dollari… per questo! — Strappò il sigaro d’oro dalle mani di Pleeth, spezzò con un movimento isterico la catenella, lo lanciò verso la fornace. La traiettoria di volo lo portò a superare i campi di calore, lo fece precipitare nell’inferno rosso della fornace. Un lampo brevissimo, e il sigaro si dissolse.
— Anche tu — sussurrò Pleeth, scuotendo la testa in un movimento quasi impercettibile. — Mi hai disattivato, Hy.
Si lanciò su Barenboim. I due uomini restarono avvinghiati per un attimo, poi il laser scavò un foro fumante nel corpo di Pleeth. Pleeth si afflosciò immediatamente. Carewe si mosse, come in sogno. L’aria stessa era diventata una melassa tenera, avvolgente. Si buttò sul corpo di Pleeth mentre il laser veniva puntato nella sua direzione, colpì Barenboim con un pugno che sembrava di piombo. Barenboim si piegò in due. Carewe gli strappò di mano la torcia. La puntò nello spazio fra gli occhi di Barenboim, rimase a guardare le pupille che rimpicciolivano come universi sempre più lontani, e fece avanzare il cursore.
— Will! — La voce di Athene giungeva da molto lontano. — No!
Carewe si fermò, recuperando l’autocontrollo. — Nemmeno io — disse a Barenboim che si stava rialzando — sono come te.
Attraversò il laboratorio, raggiunse Athene, che era crollata su uno scalino, e si sedette al suo fianco. — Avresti dovuto raccontarmi la verità.
— Non potevo parlare di quella notte con nessuno. — Lei gli prese la mano, la baciò. — Non sapevo cosa mi fosse successo. Mi sentivo così sporca, Will… Ho dovuto scacciarti.
— Ma avrei capito. Avrei trovato una soluzione.
Athene sorrise, triste. — Davvero, Will? Io non ti ho creduto quando hai cercato di parlarmi del nuovo biostatico… Cosa mai poteva farci pensare di essere tanto importanti? Perché anche il nostro matrimonio doveva essere immortale?
— Non eravamo pronti — le rispose. — Ma adesso lo siamo.
17
Athene era disposta a concedergli un anno, ma lui si era accontentato di due mesi. In piena estate, le acque del lago Orkney, visibili dalla stanza dell’albergo, erano uno scintillio di fuoco e ametista.