Intorno all’orlo della giostra erano disposti cinque piccoli cubicoli, arredati da ciascun astronauta a seconda dei suoi gusti e contenenti i suoi oggetti personali. Soltanto quelli di Bowman e di Poole erano attualmente occupati, mentre i futuri occupanti delle altre tre cabine riposavano entro i loro sarcofaghi elettronici, nel reparto adiacente.
La rotazione del tamburo poteva essere fermata, se necessario; quando ciò accadeva, il suo momento angolare doveva essere immagazzinato in un volano, per essere riutilizzato al momento della ripresa della rotazione. Ma di norma il tamburo veniva lasciato girare a velocità costante, in quanto era abbastanza facile entrare nella grossa giostra in lenta rotazione passando, sostenendosi ad appigli, lungo un’asta attraverso la regione a zero g nel suo centro. Trasferirsi sulla sezione in movimento era semplice e automatico, dopo un po’’ di esperienza, come salire su una scala mobile.
Il guscio sferico a pressione formava l’estremità di una leggera struttura a forma di freccia lunga più di cento metri. La Discovery, come tutti i veicoli destinati a una profonda penetrazione nello spazio, era troppo fragile e troppo poco aerodinamica per poter entrare in un’atmosfera, o per sfidare il campo gravitazionale di qualsiasi pianeta. Era stata montata in orbita intorno alla Terra, collaudata nel corso di un primo volo translunare, e infine controllata in orbita intorno alla Luna. Era una creatura del puro spazio… e ne aveva tutto l’aspetto.
Immediatamente dietro il guscio a pressione si raggruppavano quattro grandi serbatoi di idrogeno liquido e più indietro ancora, formando una lunga ed esile «V», si trovavano le pinne irradianti che disperdevano il calore superfluo del reattore nucleare. Venate da un delicato ricamo di tubazioni per il liquido di raffreddamento, sembravano le ali di una enorme libellula e, sotto certi punti di vista, facevano sì che la Discovery somigliasse fuggevolmente a una nave a vela dei tempi antichi.
All’estremità della «V», e a novanta metri dal compartimento dell’equipaggio, v’erano l’inferno schermato del reattore e il complesso di elettrodi focalizzanti attraverso i quali sfuggiva la sostanza stellare incandescente della propulsione al plasma. Essa aveva svolto il proprio lavoro alcune settimane prima, costringendo la Discovery ad allontanarsi dall’orbita di parcheggio intorno alla Luna. Ora il reattore si limitava a ticchettare, generando energia elettrica per i servizi dell’astronave, e le grandi pinne irradianti, che divenivano incandescenti assumendo un color rossociliegia quando la Discovery accelerava sotto la massima spinta, erano scure e fredde.
Anche se occorreva un’escursione nello spazio per esaminare questa parte dell’astronave, esistevano strumenti e remote telecamere che fornivano indicazioni complete sulle sue condizioni. Bowman riteneva ormai di conoscere intimamente ogni centimetro quadrato delle pinne irradianti e dei pannelli, e ogni tratto di tubazione a essi collegato.
Entro le 16.00 terminava l’ispezione, e faceva un rapporto verbale particolareggiato al Controllo Missione, parlando finché quest’ultimo non incominciava ad accusare ricevuta. Allora spegneva la trasmittente di bordo, ascoltava quanto la Terra aveva da dire, e rispondeva a ogni eventuale domanda. Alle 18.00 Poole si destava e lo sostituiva.
Gli rimanevano allora sei ore libere, da impiegare come più gli piaceva. A volte continuava gli studi, oppure ascoltava musica o guardava film. Per la maggior parte del tempo vagava a suo piacimento tra l’inesauribile biblioteca elettronica dell’astronave. Aveva finito con l’essere affascinato dalle grandi esplorazioni del passato… il che era abbastanza comprensibile, tenuto conto delle circostanze. A volte navigava con Pitea fuori dalle colonne d’Ercole, lungo le coste di una Europa che stava appena emergendo dall’età della pietra, e si avventava tra le gelide nebbie dell’Artico. Oppure, duemila anni dopo, inseguiva con Anson i galeoni di Manila, salpava con Cook lungo i pericoli ignoti della grande barriera corallina e compiva, con Magellano, la prima circumnavigazione della Terra. Incominciò inoltre a leggere l’Odissea, che, tra tutti i libri esistenti, gli parlava più vividamente attraverso gli abissi del tempo.
Per distrarsi, poteva sempre impegnare Hal in un gran numero di giochi semimatematici, compresi la dama e gli scacchi. Se Hal ce la metteva tutta, poteva vincere qualsiasi partita; ma questo sarebbe stato negativo per il morale. E così, lo avevano programmato in modo che vincesse soltanto il cinquanta per cento delle volte, e i suoi compagni di gioco umani fingevano di non saperlo.
Le ultime ore della giornata di Bowman erano dedicate alle pulizie generali e a lavori vari, ai quali seguiva la cena alle ore 20.00, di nuovo con Poole. Quindi, per un’ora circa, egli poteva fare o ricevere qualsiasi telefonata dalla Terra.