Читаем 2001: Odissea nello spazio полностью

Grazie al collegamento radio con la Terra, le informazioni raggiungevano quest’ultima come un flusso costante. Distavano ormai tanto dal loro pianeta che, anche viaggiando alla velocità della luce, i segnali impiegavano cinquanta minuti per compiere il viaggio. Sebbene il mondo intero stesse guardando oltre le loro spalle, e osservasse attraverso i loro occhi e i loro strumenti man mano che Giove si avvicinava, quasi un’ora trascorreva prima che le notizie delle scoperte giungessero sulla Terra.

Le macchine fotografiche telescopiche scattavano continuamente, mentre l’astronave intersecava l’orbita dei giganteschi satelliti interni, ognuno di essi più grande della Luna, ognuno di essi territorio ignoto. Tre ore prima di attraversarne l’orbita, la Discovery passò a soli trentaduemila chilometri da Europa e tutti gli strumenti vennero puntati sul mondo che andava avvicinandosi, mentre esso aumentava costantemente di dimensioni, si trasformava da globo a falce, e proseguiva rapido verso il Sole.

Ecco novantotto milioni di chilometri quadrati di suolo che fino a quel momento erano stati soltanto un puntino luminoso nel più potente dei telescopi. Sarebbero passati fulmineamente accanto a loro di lì a pochi minuti, e occorreva sfruttare al massimo l’incontro, registrando il maggior numero possibile di dati. Avrebbero poi avuto mesi di tempo durante i quali poterli riesaminare a piacere.

Da lontano Europa era sembrata una gigantesca palla di neve che riflettesse la luce del Sole remoto con considerevole efficienza. Le osservazioni ravvicinate confermarono la cosa; a differenza dalla polverosa Luna, Europa era di un bianco brillante e gran parte della sua superficie sembrava rivestita di enormi blocchi luccicanti, simili per l’aspetto a iceberg alla deriva. Quasi certamente erano formati di ammoniaca e acqua che il campo gravitazionale di Giove, in qualche modo, non era riuscito a catturare.

Soltanto lungo l’equatore era visibile nuda roccia; là si estendeva una terra di nessuno, una fascia più scura, incredibilmente accidentata, di canyon e di caotici macigni che avvolgeva completamente il piccolo mondo. Si scorgevano alcuni crateri da impatto, ma nessuna traccia di fenomeni vulcanici; Europa, ovviamente, non aveva mai posseduto alcuna sorgente interna di calore.

Esisteva, come si sapeva da tempo, una traccia di atmosfera. Quando l’orlo scuro del satellite passò davanti a una stella, quest’ultima si offuscò fuggevolmente prima dell’attimo dell’eclisse. E in certe zone si scorgeva un accenno di nubi… forse una nebbia di goccioline d’ammoniaca, sollevata da tenui venti di gas metano.

Rapidamente come si era avventata fuori dal firmamento verso di loro, Europa si lasciò indietro l’astronave. Hal aveva controllato e ricontrollato l’orbita della Discovery con infinita cura e non si rendevano necessarie ulteriori modifiche della velocità fino al periodo del massimo avvicinamento. Eppure, anche sapendo questo, era un mettere i nervi a dura prova osservare quel globo gigantesco che andava dilatandosi di minuto in minuto. Si stentava a credere che la Discovery non stesse piombando direttamente su di esso, e che l’immenso campo gravitazionale del pianeta non li stesse attraendo giù verso la distruzione.

Era giunto il momento di lanciare le sonde atmosferiche che, si sperava, avrebbero resistito abbastanza a lungo per ritrasmettere qualche dato dal di sotto della coltre di nubi di Giove. Due tozze capsule a forma di bomba, racchiuse in scudi di calore destinati a essere consumati dall’attrito, vennero dolcemente spinte in orbite che, per le prime migliaia di chilometri, si discostavano appena da quella della Discovery.

Ciò nonostante si allontanarono adagio; e ora, infine, anche senza l’ausilio di strumenti, fu possibile vedere quello che Hal aveva asserito. L’astronave si trovava in un’orbita di quasisfioramento, e non di collisione; avrebbe mancato anche l’atmosfera di Giove. La differenza, questo sì, era di appena poche centinaia di chilometri: un mero nulla, trattandosi di un pianeta il cui diametro era di centosessantamila chilometri, ma bastava.

Giove colmava ormai l’intero firmamento; era così enorme che né la mente né lo sguardo riuscivano più ad afferrarlo e sia l’una sia l’altro avevano rinunciato al tentativo. Se non fosse stato per la straordinaria varietà di colori, i rossi e i rosa, i gialli e i salmone e persino gli scarlatti, dell’atmosfera sotto di loro, Bowman avrebbe potuto credere di sorvolare una cappa di nubi sulla Terra.

E ora, per la prima volta nel corso dell’intero viaggio, stavano per perdere il Sole. Per quanto scialbo e rimpicciolito, esso era stato il costante compagno della Discovery dal momento in cui essa si era allontanata dalla Terra, cinque mesi prima. Ma adesso l’orbita dell’astronave stava affondando nell’ombra di Giove; presto sarebbe passata sopra il lato del pianeta sul quale regnava la notte.

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