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Allora un altro suono mi fece sobbalzare, inaspettato, terrificante. Come metallo ridotto a pezzi. Un suono che mi riportò alla mente lo scontro nella radura di tanti mesi prima, lo stridere dei neonati squarciati. Lanciai un’occhiata al viso di Edward premuto contro il rigonfiamento. Denti di vampiro: lo strumento infallibile per tagliare la pelle di vampiro.

Tremai, mentre soffiavo altra aria dentro Bella.

Lei tossì e strizzò gli occhi che roteavano alla cieca.

«Resta con me, Bella!», le gridai. «Mi senti? Resta qui! Non voglio che mi lasci. Fai battere il tuo cuore!».

I suoi occhi rotearono, cercando me, o lui, senza vedere niente.

Continuai a fissarli comunque, senza distogliere lo sguardo.

Poi, all’improvviso, sentii il suo corpo divenire immobile sotto le mie mani, nonostante continuasse a respirare convulsamente e il suo cuore battesse. Mi resi conto che quell’immobilità significava che era finita. La lotta interna era finita. Doveva essere uscito.

Infatti.

Edward sussurrò: «Renesmee».

Dunque Bella si era sbagliata. Non era il bambino che aveva immaginato. Nessuna sorpresa. C’era forse qualcosa su cui non si fosse mai sbagliata?

Non staccai lo sguardo dai suoi occhi iniettati di sangue, ma sentii le sue mani scivolare deboli.

«Fammi...», gracidò in un sussurro spezzato. «Dammela».

Ero abituato a vederlo obbedire a ogni sua richiesta, non importa quanto stupida. Ma non immaginavo che l’avrebbe esaudita anche adesso. Perciò non pensai a fermarlo.

Qualcosa di caldo mi toccò il braccio. Avrei dovuto farci caso, in quel momento. Non c’era mai niente che mi sembrasse caldo.

Ma non riuscivo a distogliere gli occhi da Bella. Batté le ciglia e alla fine riuscì a vedere. Mugolò un gemito strano, debole.

«Renes...mee. Sei... bellissima».

E poi singhiozzò. Singhiozzò di dolore.

Quando mi voltai era già troppo tardi. Edward aveva strappato quella cosa calda e sanguinante dalle sue braccia esanimi. I miei occhi guizzarono sulla sua pelle. Era rossa di sangue; quello che le era sgorgato dalla bocca, quello che aveva impiastricciato la creatura e altro sangue che zampillava da un piccolo morso a forma di mezzaluna, proprio sopra il seno sinistro.

«No, Renesmee», mormorò Edward, come se volesse insegnare le buone maniere al mostro.

Non guardai né lui né la cosa. Fissavo solo Bella, i suoi occhi rovesciati.

Con un ultimo tonfo sordo il suo cuore vacillò e tacque.

Perse circa mezzo battito, poi le mie mani scattarono subito a comprimere il petto. Contai a mente, cercando di tenere un ritmo costante. Uno. Due. Tre. Quattro.

Mi staccai per un secondo e soffiai un’altra boccata d’aria dentro di lei.

Non ci vedevo più. I miei occhi erano umidi e sfocati. Ma ero estremamente consapevole dei rumori nella stanza. Il gorgoglio forzato del suo cuore sotto le mie mani impazienti, il rimbombo del mio e di un altro. Un palpitare troppo veloce, troppo leggero che non riuscivo a localizzare.

Le spinsi altra aria in gola.

«Cosa aspetti?», gridai senza fiato, senza smettere di pompare. Uno. Due. Tre. Quattro.

«Prendi la bambina», disse Edward impaziente.

«Buttala dalla finestra». Uno. Due. Tre. Quattro.

«Datela a me», una voce bassa risuonò dalla porta. Edward e io ringhiammo all’unisono.

Uno. Due. Tre. Quattro.

«È tutto sotto controllo», promise Rosalie. «Dammi la bambina, Edward. Me ne prendo cura io finché Bella...».

Feci un’altra respirazione a Bella, mentre avveniva lo scambio. La pulsazione accelerata si dissolse in lontananza.

«Togli le mani, Jacob».

Alzai lo sguardo dagli occhi bianchi di Bella, mentre continuavo a pompare sul suo cuore. Edward stringeva in mano una siringa argentata, forse d’acciaio.

«Cos’è?».

La sua mano rocciosa spinse via le mie. Ci fu un leggero scrocchio: con un colpo mi aveva rotto il mignolo. Nello stesso istante, conficcò l’ago dritto nel cuore di Bella.

«Il mio veleno», rispose mentre abbassava lo stantuffo.

Udii il sussulto del cuore di lei, come avesse usato un defibrillatore.

«Non lasciare che si fermi», ordinò. La sua voce glaciale era di un morto, ostile e meccanica come quella di un automa.

Ignorai il dolore al dito, che già stava passando, e ricominciai a premere sul cuore di Bella. Era più duro, come se le si stesse congelando il sangue; scorreva più denso, lento. Mentre le spingevo il sangue viscoso lungo le arterie, diedi un’occhiata a Edward.

Sembrava che la stesse baciando: strofinò le labbra contro la sua gola, i polsi, la piega all’interno del gomito. Ma sentivo la pelle strapparsi mentre i denti di lui la mordevano senza sosta e inoculavano veleno nel suo organismo in quanti più punti possibile. Vidi la sua lingua esangue muoversi rapidamente lungo le ferite vive ma, prima che ciò potesse farmi infuriare o star male, capii la sua intenzione. Dove la sua lingua aveva lavato il veleno, le ferite si erano chiuse. Trattenendo il siero e il sangue dentro il corpo.

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