Edward si era sempre considerato una creatura da racconto dell’orrore, ma sapevo che si sbagliava, e di grosso. Era ovvio che il suo posto fosse
E adesso c’ero anch’io, con lui.
Stavo pensando di approfittare del fatto che si era dimenticato di rimettermi giù e che l’incanto del suo viso si trovava a pochi centimetri dal mio, quando lo sentii dire: «Meno male che a Esme è venuto in mente di aggiungere una stanza. Nessuno aveva messo in conto Ness... Renesmee».
Brutalmente strappata alle mie fantasticherie, mi rabbuiai.
«Non mettertici anche tu, con quel soprannome», borbottai.
«Scusa, tesoro, ma lo leggo in continuazione nella mente altrui. È snervante».
Sospirai. Mia figlia, il serpente marino. Forse era inevitabile, ma non intendevo arrendermi.
«Scommetto che non vedi l’ora di dare un’occhiata alla cabina armadio. Perlomeno è ciò che dirò ad Alice, per farla contenta».
«Devo aver paura?».
«Al posto tuo io sarei terrorizzato».
Mi condusse lungo uno stretto corridoio di pietra con il soffitto ad archetti, come in un castello in miniatura.
«Questa è la stanza di Renesmee», disse indicando con un cenno del mento una camera vuota dal pavimento di legno chiaro. «Con il casino dei licantropi, non hanno avuto il tempo di sistemarla un granché...».
Ridacchiai fra me, sorpresa dalla velocità con cui le cose erano tornate a posto dopo l’incubo di una settimana prima.
E che cavolo! Jacob doveva proprio trovare
«E questa è la nostra camera. Esme ha cercato di ricreare l’atmosfera della sua isola. Ha pensato che ci fossimo affezionati».
Il letto era grande e bianco, avvolto da nuvole di tulle che scendevano in morbide ondulazioni fino a terra. Il pavimento era uguale a quello dell’altra stanza, color sabbia tropicale, ormai l’avevo capito. Le pareti erano di quell’azzurro quasi bianco che hanno certe giornate di sole, e su quella di fondo si apriva una grande portafinestra che dava su un giardinetto segreto, con rose rampicanti e un piccolo stagno rotondo con la superficie a specchio e il bordo di sassi lucidi. Un piccolo oceano calmo tutto per noi.
«Oh», fu tutto ciò che riuscii a dire.
«Già», bisbigliò Edward.
Restammo lì per qualche istante, ognuno perso nei propri ricordi. I miei erano umani e confusi, ma avevano assunto il controllo totale della mia mente.
Edward s’illuminò di un ampio sorriso e scoppiò a ridere. «La cabina armadio è dietro quella doppia porta. Ti avverto: è più grande della camera».
Non mi girai nemmeno. Di nuovo, al mondo non esisteva altro che Edward, le sue braccia piegate sotto di me, il suo alito dolce sul mio viso, le sue labbra a sfiorare le mie: nulla poteva distrarmi da lui, e poco importava che fossi una neonata.
«Diremo ad Alice che sono corsa dritta alla cabina armadio», sussurrai, infilandogli le dita fra i capelli e avvicinando il mio volto al suo. «Le diremo che ho passato ore a provare i vestiti.
Si sintonizzò sulla mia lunghezza d’onda in un attimo, o forse lo era già da prima e stava solo cercando di farmi apprezzare al meglio il mio regalo di compleanno, da vero gentiluomo. Attirò a sé il mio viso con improvviso ardore e un rantolo basso gli salì dal fondo della gola. Nell’udirlo il mio corpo fu attraversato da una scarica elettrica che mi portò sull’orlo della frenesia, come se non potessi avvicinarmi abbastanza o abbastanza rapidamente a lui.
Nel sentire la stoffa che si lacerava sotto le nostre dita sorrisi fra me al pensiero che i miei vestiti, se non altro, erano già a brandelli. Per i suoi era ormai troppo tardi. Pensai che era quasi un insulto ignorare quel bel letto bianco, ma sapevo che non ci saremmo mai arrivati.
Quella seconda luna di miele non fu come la prima.
Il tempo trascorso con Edward sull’isola aveva rappresentato il culmine della mia vita da umana. Il meglio del meglio. Tanto che mi ero sentita pronta a protrarre il tempo da umana, pur di prolungare quei momenti con lui. Perché dal punto di vista fisico, lo sapevo, non sarebbe mai più stata la stessa cosa.
Avrei dovuto immaginarlo, dopo una giornata così, che sarebbe stato meglio.
Ora potevo davvero apprezzare Edward nei dettagli più intimi: grazie ai miei nuovi e acutissimi occhi riuscivo a vedere ogni singolo tratto del suo viso meraviglioso e ogni minimo particolare del suo corpo snello e assurdamente perfetto. Lo percepivo da ogni angolazione e su tutti i piani, potevo sentire il suo sapore intenso sulla lingua e l’incredibile morbidezza della sua pelle marmorea sotto le dita.
La mia pelle era altrettanto sensibile al suo tocco.
Era tutto nuovo, un’altra persona quella che avvinceva dolcemente il proprio corpo al mio sul pavimento color sabbia. Nessuna cautela, nessun riserbo. Soprattutto, nessuna paura. Potevamo amarci