Renesmee era sveglia. Seduta per terra e marcata stretta da Emmett e Rose, giocava con un mucchio contorto di posate d’argento. Nella mano destra teneva un cucchiaio martoriato. Appena mi vide attraverso il vetro, lo gettò sul pavimento, dove lasciò una tacca nel legno, e indicò imperiosa nella mia direzione. Alice, Jasper, Esme e Carlisle, lì presenti, risero osservando la scena seduti sul divano, come se fosse il più emozionante dei film.
Prima ancora che la risata scoppiasse ero già entrata, avevo attraversato a lunghe falcate la stanza e avevo sollevato Renesmee da terra, tutto nello stesso istante. Ci scambiammo un grande sorriso.
Era diversa, ma non tanto. Si era allungata ancora, le proporzioni da neonata stavano già cedendo il posto ai primi tratti infantili. I capelli le erano cresciuti di almeno mezzo centimetro e a ogni movimento i riccioli le rimbalzavano in testa come molle. Lungo la strada avevo scatenato la fantasia e mi ero immaginata ben di peggio. Grazie ai miei timori esagerati, quei cambiamenti minimi furono quasi un sollievo. Anche senza i calcoli di Carlisle, ero certa che fossero più lenti del giorno prima.
Renesmee tamburellò sulla mia guancia. Feci una smorfia. Aveva di nuovo fame.
«Da quanto tempo è alzata?», chiesi, mentre Edward spariva oltre la porta della cucina. Ero certa che fosse andato a preparare la colazione, dato che aveva letto il pensiero di Renesmee chiaramente quanto me. Chissà se si sarebbe accorto del suo talento particolare, se fosse stato l’unico a conoscerla. Per lui, probabilmente, era come ascoltare chiunque altro,
«Da qualche minuto», rispose Rose. «Ti avremmo chiamato fra poco. Ti voleva, anzi, ti
Rosalie si morse il labbro e si voltò dall’altra parte, sforzandosi di non ridere. Alle mie spalle il ghigno silenzioso di Emmett faceva vibrare le fondamenta della casa.
A testa alta dissi a Renesmee: «Ti prepariamo subito la camera. La casetta ti piacerà, vedrai. È magica». Guardai Esme. «Grazie, Esme. Grazie infinite. È assolutamente perfetta».
Prima che Esme potesse rispondere, Emmett era scoppiato a ridere di nuovo, fragorosamente.
«Quindi è ancora in piedi?», riuscì a dire fra un singhiozzo e l’altro. «Ero convinto che l’avreste demolita. Cos’avete fatto stanotte, avete discusso del debito pubblico?». Ormai ululava dalle risate.
Strinsi le mascelle e ripensai a cos’era successo il giorno prima, quando avevo dato libero sfogo al mio malumore. Anche se, ovviamente, Emmett non era fragile come Seth...
Il pensiero di Seth mi fece tornare in mente i licantropi. Dov’erano? Guardai fuori dalla vetrata, arrivando non avevo visto tracce di Leah.
«Jacob è partito stamattina presto», mi comunicò Rosalie, la fronte corrugata. «Seth è andato con lui».
«Di cos’era preoccupato?», chiese Edward rientrando nella stanza con la tazza di Renesmee. Evidentemente nella testa di Rosalie c’era più di quanto la sua espressione mi aveva trasmesso.
Senza respirare passai Renesmee a Rosalie. Superautocontrollo o no, proprio non ce la facevo a darle da mangiare. Non ancora.
«Non lo so e non m’importa», borbottò Rosalie. Ma poi aggiunse: «Guardava Nessie dormire, imbambolato, con quella sua aria da imbecille, quando d’un tratto, senza motivo — nessuno che io abbia notato, almeno — è balzato in piedi e si è fiondato fuori. A me non è dispiaciuto che si levasse di torno. Più tempo passa qui, più sarà difficile liberare la casa dall’odore».
«Rose», la riprese bonaria Esme.
Rosalie buttò indietro la testa di scatto. «Ma non è un grosso problema. Immagino che non resteremo qui ancora a lungo».
«Io insisto che dovremmo andare dritti nel New Hampshire a organizzare le cose», intervenne Emmett, riprendendo chiaramente una conversazione già iniziata. «Bella è già iscritta a Dartmouth. Non credo le ci vorrà tanto per ambientarsi a scuola». Poi, voltandosi a guardarmi con un ghigno scherzoso, aggiunse: «Sono sicuro che diventerai la prima della classe... A quanto pare la notte non hai di meglio da fare che studiare».
Rosalie ridacchiò.
Edward invece no, il che mi sorprese doppiamente.
Ringhiò — un suono aspro e penetrante che mi lasciò agghiacciata — e la furia più nera gli oscurò il viso come una nuvola temporalesca.
Prima che qualcuno potesse rispondere, Alice balzò in piedi.
«Cosa sta facendo? Com’è riuscito quel
Per un istante fui grata a Jacob, qualunque cosa stesse facendo.