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Come prima con i baci, ogni contatto, ogni sfioramento era più di quanto fossi abituata a ricevere. Capii fino a che punto si fosse trattenuto, prima. Era stato necessario, certo, ma rimasi sconvolta nel rendermi conto di ciò che mi ero persa fino a quel momento.

Mi sforzavo di tenere a mente che ero più forte di lui, ma non era facile concentrarmi, mentre le sensazioni intense attiravano la mia attenzione verso un milione di punti diversi del mio corpo nello spazio di un secondo. Non so se gli feci male, ma non lo sentii mai lamentarsi.

Una piccolissima parte della mia mente era intenta a studiare quella situazione così affascinante e astrusa. Non mi sarei mai stancata e lui nemmeno. Non avevamo bisogno di riprendere fiato, riposare, mangiare o andare in bagno; non avevamo più alcuna esigenza umana. Edward possedeva il corpo più perfetto che si fosse mai visto ed era tutto mio; sentivo che non sarei mai arrivata al punto di dire: «Per oggi ne ho avuto abbastanza». Anzi, ne avrei voluto sempre di più. Inoltre, quell’oggi sarebbe durato in eterno. Come smettere, in una situazione del genere?

Non seppi darmi una risposta, ma non me ne preoccupai affatto.

A un certo punto mi accorsi — percepii, più che altro — che cominciava a far chiaro. Il piccolo oceano fuori dalla finestra scolorò dal nero al grigio e un’allodola iniziò a cantare, vicinissima. Forse aveva fatto il nido fra le rose.

«Ti manca?», chiesi a Edward quando l’uccello tacque.

Non erano le prime parole che pronunciavamo, ma non si poteva nemmeno dire che avessimo conversato.

«Cosa?», mormorò.

«Tutto. Il calore, la morbidezza della pelle, il profumo... Io non ho perso nessuna di queste sensazioni ma mi chiedevo se per te, invece, non fosse un po’ triste...».

Edward rise piano. «Credo che sarebbe dura trovare qualcuno meno triste di me in questo momento. Impossibile, direi. Non sono in molti a ottenere ciò che desiderano, addirittura, più cose di quante si sognavano di chiedere, e tutte in un solo giorno».

«Stai eludendo la domanda?».

Mi premette una mano sul viso. «Ma sei calda», disse.

In un certo senso era vero. Anche per me la sua mano era calda, anche se non era come toccare la pelle incandescente di Jacob. Ma il contatto era più gradevole. Più naturale.

Quindi fece scivolare piano le dita lungo il mio viso, percorrendo delicatamente il profilo della mascella fino al collo e, da lì, scese fino alla vita. Sentii i miei occhi rovesciarsi all’indietro.

«E sei morbida».

Le sue dita erano come seta sulla mia pelle, capivo perfettamente cosa volesse dire.

«Quanto al profumo, be’, non posso dire di sentirne davvero la mancanza. Ti ricordi l’odore degli escursionisti, quando siamo andati a caccia?».

«Ho fatto di tutto per dimenticarlo».

«Ecco, immagina di baciare qualcuno con quell’odore».

La gola mi andò a fuoco come se vi fosse esploso un aerostato.

«Oh».

«Appunto. Quindi la risposta è no. Sono la gioia fatta persona, perché non sento la mancanza di niente. Nessuno è più ricco di me in questo istante».

Stavo per obiettare a quell’ultimo commento, ma d’un tratto mi ritrovai con le labbra molto impegnate.

Quando il sole che sorgeva colorò lo stagno di grigio perla, mi venne in mente un’altra domanda.

«Quanto dura? Voglio dire, Carlisle ed Esme, Em e Rose, Alice e Jasper non passano tutto il tempo chiusi in camera da letto. Sono sempre in giro, fanno cose con i vestiti addosso... Questa... bramosia passa, dopo un po’?». Mi avvinghiai ancora più stretta al suo corpo — sorprendendo me stessa, non credevo fosse possibile — per chiarire meglio il concetto.

«Difficile a dirsi. Ognuno è fatto a modo proprio e tu sei di gran lunga la più diversa di tutti. In genere i vampiri giovani hanno troppa sete per pensare ad altro, ma non mi sembra il tuo caso. Dopo il primo anno, di solito, vengono fuori altre esigenze, ma né la sete né gli altri desideri svaniscono mai del tutto. Si tratta solo di trovare un equilibrio, stabilire le priorità. Imparare a gestire la situazione, insomma...».

«Quanto dura?».

Edward sorrise, arricciando un po’ il naso. «Il massimo sono stati Emmett e Rosalie. Sono dovuti passare la bellezza di dieci anni prima che riuscissi a sopportarne la vicinanza entro il raggio dei dieci chilometri. Anche Esme e Carlisle non digerivano troppo la faccenda e alla fine hanno buttato fuori i piccioncini. Esme ha costruito una casa anche a loro. Più lussuosa di questa, ma lei conosce i gusti di Rose, così come conosce i tuoi».

«Quindi, dopo dieci anni», non che fossimo in gara con Emmett e Rosalie, ma se avessimo superato il decennio avrei potuto anche vantarmene, «si torna normali, come loro adesso?».

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