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«Più o meno», rispose Alice spingendomi avanti.

«Spero che il regalo ti piaccia», disse Rosalie. «È da parte di tutti noi. Soprattutto di Esme».

«Ma voi non venite?», chiesi, notando che nessuno si era mosso.

«Te lo lasciamo godere in privato», rispose Rosalie. «Poi ci racconterai...».

Emmett esplose in una risata sguaiata che per qualche motivo mi fece venir voglia di arrossire, anche se non capivo bene il perché.

In quel momento mi resi conto che in tante cose, l’allergia alle sorprese e una certa idiosincrasia per i regali, per esempio, non ero affatto cambiata. Era un sollievo e allo stesso tempo una rivelazione scoprire quanto della mia natura più vera e profonda mi avesse seguito nel mio nuovo corpo.

Non mi aspettavo di essere ancora me stessa, e nel constatarlo un ampio sorriso mi si dipinse sul volto.

Sorridevo ancora mentre Alice mi trascinava per il gomito nella notte violetta. Soltanto Edward ci accompagnava.

«Ecco l’entusiasmo, così mi piace», mormorò Alice in tono d’approvazione. Poi mi lasciò andare il braccio e con due agili balzi saltò dall’altra parte del fiume.

«Vieni, Bella!», mi esortò dalla sponda opposta.

Edward saltò nel momento in cui anch’io mi staccavo da terra. Era divertente proprio come lo era stato nel pomeriggio, forse anche di più, perché la notte rendeva i colori diversi e più intensi.

Alice si diresse verso nord con noi due al seguito. Era più facile seguire il frusciare dei suoi piedi sul terreno e la scia fresca del suo odore che cercare di distinguerne l’ombra nel fitto della vegetazione.

A un tratto, come in risposta a un segnale invisibile, fece dietrofront e schizzò fino al punto dove mi ero fermata.

«Non attaccarmi», si raccomandò e balzò verso di me.

«Che fai?», chiesi e rabbrividii nel sentire che mi era salita in spalla e mi bendava gli occhi. Resistetti all’impulso di scrollarmela di dosso.

«Ti copro gli occhi».

«Potevo occuparmene io senza bisogno di fare tutto questo teatro», disse Edward.

«Non mi fido di te, scommetto che la lasceresti sbirciare. Prendila per mano e guidala».

«Alice, io...».

«Non preoccuparti, Bella. Fidati».

Sentii le dita di Edward intrecciarsi alle mie. «Ancora un briciolo di pazienza, Bella. Fra poco ci lascerà in pace e andrà a scocciare qualcun altro». Mi spinse avanti. Tenevo il suo passo senza difficoltà, non avevo paura di andare a sbattere contro un albero: tanto, nel caso, sarebbe stato l’albero a farsi male.

«Però potresti mostrare un po’ d’entusiasmo anche tu, Edward», lo rimproverò Alice. «Il regalo lo facciamo anche a te».

«Hai ragione. Grazie ancora, Alice».

«Prego, prego». D’un tratto la voce prese a vibrarle d’emozione. «Stop. Girala un pochino verso destra. Ecco, così. Perfetto. Pronta?».

«Pronta», risposi. C’erano nuovi odori che catturavano la mia attenzione e accrescevano la mia curiosità, profumi che non appartenevano alla foresta. Caprifoglio. Legna bruciata. Rose. Segatura? Anche qualcosa di metallico. L’odore intenso di terra rivoltata di fresco. Mi tesi verso il mistero.

Alice scese dalle mie spalle e mi liberò gli occhi.

Fissai il buio violetto. Al centro di una piccola radura in mezzo alla foresta sorgeva una casetta di pietra, color grigio lavanda alla luce delle stelle.

Era incastonata così perfettamente nel paesaggio da sembrare scaturita direttamente dalla roccia, quasi fosse un’incrostazione naturale. Un muro era coperto da una pianta di caprifoglio che si avvitava oltre il tetto, ricoperto di massicce scandole in legno. In un fazzoletto di giardino, proprio sotto le finestre buie e incassate, fiorivano cespugli di rose tardive. Un piccolo sentiero di pietre piatte, ametista nella luce notturna, conduceva a un pittoresco ingresso ad arco con la porta in legno.

Strinsi la chiave che tenevo in mano, praticamente sotto shock.

«Che te ne pare?», chiese Alice, la voce di nuovo morbida, in perfetta sintonia con l’idillio di quella scena che pareva tolta di peso da un libro di fiabe.

Aprii la bocca ma non mi uscì alcun suono.

«Esme ha pensato che ci avrebbe fatto piacere avere un posticino tutto nostro per un po’, ma voleva che restassimo a portata di voce», mormorò Edward. «E poi per lei ogni scusa è buona per ristrutturare vecchi ruderi. Questa casetta cadeva letteralmente a pezzi, era abbandonata da almeno un secolo».

Come imbambolata, non avevo ancora ritrovato l’uso della parola.

«Non ti piace?», chiese Alice profondamente delusa. «Cioè, sono sicura che possiamo rifarla, se vuoi. Emmett voleva già ampliarla di qualche migliaio di metri quadrati, alzarla di un piano, aggiungere un colonnato e anche una torre, ma Esme ha pensato che vi sarebbe piaciuta di più così, com’era nel progetto originale». Parlava veloce adesso, in un tono acuto che sfiorava lo stridulo. «Però se si è sbagliata non ci mettiamo niente a...».

Riuscii a sibilare un «Sssh!».

Alice strinse le labbra e rimase in attesa. Mi ci volle qualche secondo per riavermi.

«Mi regalate una casa per il mio compleanno?», chiesi in un sussurro.

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