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Poi Edward strinse i pugni e disse in tono rabbioso: «Ha parlato con Charlie. Pensa che lui lo stia seguendo. Verrà qui. Oggi».

Alice usò un’espressione che fece un effetto molto strano con il suo tono di voce acuto e signorile, poi si lanciò attraverso la porta sul retro con uno scatto così repentino che i contorni della sua figura persero definizione.

«L’ha detto a Charlie?», rantolai. «Ma... non si rende conto? Come ha potuto?». Charlie non doveva sapere di me, né dei vampiri! Altrimenti sarebbe finito sulla lista di quelli da eliminare e nemmeno i Cullen avrebbero potuto salvarlo. «No!».

«Jacob è già qui», mormorò Edward fra i denti.

Verso est doveva aver cominciato a piovere, perché Jacob entrò scrollandosi come un cane, sventagliando acqua dai capelli sul tappeto e sul divano bianco, che macchiò di gocce grigie. I denti gli brillavano fra le labbra scure; aveva gli occhi accesi e lo sguardo allucinato. Si muoveva a scatti, come se l’idea di distruggere la vita di mio padre lo eccitasse.

«Salve, ragazzi», ci salutò ghignando.

Silenzio totale.

Leah e Seth gli scivolarono alle spalle. Erano in forma umana per il momento. A entrambi tremavano le mani dalla tensione.

«Rose», chiamai, tendendo le braccia. Senza dire una parola mi diede Renesmee. La strinsi al mio cuore immobile, come un talismano contro gli atti inconsulti. L’avrei tenuta fra le braccia finché non fossi stata sicura che la mia decisione di uccidere Jacob era frutto di una scelta razionale e non dell’ira.

Renesmee era calmissima, osservava e ascoltava. Quanto riusciva a capire?

«Fra poco arriverà Charlie», buttò lì Jacob, rivolto a me. «Te lo dico a titolo informativo. Immagino che Alice sia andata a prenderti un paio d’occhiali...».

«Tu hai troppa immaginazione», sputai fra i denti. «Che. Cavolo. Hai. Combinato?».

Il suo sorriso vacillò, ma era ancora troppo su di giri per rispondere seriamente. «Stamattina Emmett e la bionda mi hanno svegliato con la storia che vi trasferite tutti quanti dall’altra parte del paese. Come se potessi lasciarvi andare. Il grosso problema era Charlie, no? Be’, problema risolto».

«Ti rendi conto anche solo vagamente di ciò che hai fatto? Del rischio a cui l’hai esposto?».

Sbuffò. «Non l’ho messo in pericolo. L’unico pericolo potresti essere tu, ma tu possiedi una specie di autocontrollo soprannaturale, dico bene? Anche se per me non vale quanto la capacità di leggere nel pensiero. Molto meno eccitante».

A quel punto Edward si mosse. Sfrecciò attraverso la stanza fino a trovarsi con la faccia a un millimetro da quella di Jacob. Sebbene fosse più basso di lui di mezza testa, l’ondata di rabbia al calor bianco che gli rovesciò addosso costrinse Jacob a tirarsi indietro, come se Edward lo sovrastasse.

«È solo una teoria, bastardo», sputò. «Pensi che dovremmo usare Charlie come banco di prova? Hai pensato al dolore fisico che patirebbe Bella, ammesso e non concesso che riuscisse a resistere? E alla sofferenza nel caso non ci riuscisse? Ma immagino che ciò che prova Bella non sia più affar tuo!». L’ultima parola gli uscì di bocca come uno sputo.

Renesmee mi premeva ansiosamente le dita sulla guancia, il replay nella sua testa era tinto di tensione.

Le parole di Edward smorzarono la bizzarra eccitazione di Jacob. La bocca gli si piegò in una smorfia. «Bella sentirà dolore?».

«Come se le avessi infilato in gola un ferro incandescente!».

Trasalii al pensiero del sangue umano puro e del suo profumo.

«Non lo sapevo», sussurrò Jacob.

«Potevi chiedere, prima», ringhiò Edward fra i denti.

«Potevi fermarmi».

«Dovevi essere fermato».

«Non si tratta di me», m’intromisi. Ero immobile, aggrappata a Renesmee come all’ancora della sanità mentale. «Si tratta di Charlie, Jacob. Come hai potuto esporlo a un simile rischio? Ti rendi conto che adesso o muore, o diventa anche lui un vampiro?». La voce mi tremava di lacrime che i miei occhi non sapevano più versare.

Jacob era ancora disorientato dalle accuse di Edward, ma le mie non sembrarono impressionarlo. «Rilassati, Bella. Non gli ho detto nulla che non avessi già intenzione di dirgli tu».

«Ma sta venendo qui!».

«L’idea era quella, infatti. Mi pareva di aver capito che il tuo piano fosse "facciamogli supporre cose sbagliate", così ci ho pensato io a depistarlo».

Le mie dita si staccarono da Renesmee e le strinsi a pugno, per sicurezza. «Spiegati, Jacob. Non ho tempo da perdere con gli indovinelli».

«Non gli ho detto niente di te. Non proprio. Gli ho detto di me. Be’, forse sarebbe più corretto dire che gli ho fatto vedere me».

«Si è trasformato davanti a Charlie», sibilò Edward.

«Hai fatto cosa?», sussurrai.

«Ha del fegato. Come te. Non è svenuto, non ha vomitato, niente. Devo dire che ne sono rimasto colpito. Però avresti dovuto vedere la sua faccia quando ho cominciato a spogliarmi. Impagabile», sghignazzò.

«Ma allora sei completamente deficiente! Poteva venirgli un infarto!».

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