Quando battei le palpebre, una specie di velo mi scese sulla pupilla. Era trasparente, naturalmente, ma vedevo anche la sua trama. Il mio occhio continuava a concentrarsi sui graffi microscopici e sulle deformazioni della lente.
«Ho capito cosa intendevi», mormorai mentre m’infilavo la seconda lente. Questa volta mi sforzai di non battere le palpebre. Il mio occhio tentava istintivamente di espellere il corpo estraneo.
«Come sto?».
Edward sorrise. «Una favola, naturalmente...».
«Sì, sì, certo, lei è sempre una favola», terminò impaziente Alice al posto suo. «Meglio che rossi, ma è l’unico commento positivo che mi sento di fare. Marrone fango. Il tuo colore naturale era molto più bello. Ricorda che non durano in eterno: il veleno nei tuoi occhi le scioglie nel giro di poche ore. Quindi se Charlie si trattiene più a lungo, dovrai scusarti e correre a infilartene un paio nuove. Che è comunque una buona idea, visto che gli umani devono andare in bagno». Scosse la testa. «Esme, dalle un paio di dritte sul comportamento da umano mentre io rifornisco il bagno di lenti».
«Quanto tempo ho?».
«Charlie sarà qui fra cinque minuti. Sii sintetica».
Esme annuì e mi prese la mano. «Per prima cosa, non devi star seduta troppo immobile, né muoverti troppo velocemente», disse.
«Se lui si siede, siediti anche tu», s’intromise Emmett. «Agli umani non piace stare in piedi».
«Ogni trenta secondi o giù di lì sposta lo sguardo», aggiunse Jasper. «Gli umani non fissano le cose troppo a lungo».
«Accavalla le gambe, poi, dopo cinque minuti, incrocia le caviglie», disse Rosalie.
Annuivo a ogni suggerimento. Li avevo visti fare quei gesti il giorno prima e ritenevo di riuscire a imitarli.
«E batti le palpebre almeno tre volte al minuto», si raccomandò Emmett. D’un tratto si accigliò, schizzò verso il tavolino, afferrò il telecomando e sintonizzò il televisore su un canale che trasmetteva una partita del campionato universitario di football. Annuì fra sé.
«Muovi anche le mani. Tirati indietro i capelli, fai finta di grattare qualcosa...», disse Jasper.
«Avevo detto
«No, credo di aver capito», dissi. «Star seduta, guardare in giro, battere le palpebre, muovere le mani».
«Esatto», approvò Esme cingendomi le spalle.
Jasper si accigliò. «Tratterrai il fiato il più possibile, ma devi sollevare ritmicamente le spalle, appena appena, per
Feci un respiro e annuii di nuovo.
Edward mi abbracciò dal fianco libero. «Ce la farai», mi mormorò incoraggiante all’orecchio.
«Due minuti», annunciò Alice. «Forse dovresti farti trovare già seduta sul divano. In fin dei conti sei stata malata. Così non noterà subito il tuo modo di muoverti».
Alice mi spinse verso il divano. Cercavo di camminare piano e rendere più goffi i miei movimenti, ma forse non me la cavai molto bene, perché la vidi alzare gli occhi al cielo.
«Jacob, ho bisogno di Renesmee», dissi.
Jacob s’incupì e non si mosse.
Alice scosse la testa. «Bella, lei non mi aiuta a vedere».
«Ma mi serve. Mi tranquillizza». Impossibile non notare la nota acuta di panico nella mia voce.
«D’accordo», borbottò Alice. «Tienila più ferma che puoi,
Edward mi si sedette accanto e mise un braccio attorno a me e Renesmee. Poi si piegò in avanti e guardò la piccola negli occhi, con aria molto seria.
«Renesmee, sta per arrivare una persona molto speciale che viene apposta per vedere te e la mamma», disse in tono grave, come se si aspettasse che lei capisse ogni singola parola. Capiva? Lo fissava con sguardo intento e limpido. «Ma non è come noi, nemmeno come Jacob. Dobbiamo essere molto cauti con lui. Non devi dirgli le cose come le dici a noi».
Renesmee gli toccò il viso.
«Esatto», disse Edward. «Inoltre ti farà venire sete. Ma non devi morderlo. Non può guarire come Jacob».
«Riesce a capirti?», sussurrai.
«Capisce. Farai attenzione, vero, Renesmee? Ci aiuterai?».
Renesmee lo toccò di nuovo.
«No, non m’importa se mordi Jacob, va bene».
Jacob ridacchiò.
«Forse è meglio se te ne vai, Jacob», disse Edward secco, freddandolo con lo sguardo. Non lo aveva perdonato perché sapeva che, comunque fosse finita con Charlie, io avrei sofferto. Ma, se sentirmi ardere la gola fosse stata la cosa peggiore da dover patire quella sera, ne sarei stata felice.
«Ho detto a Charlie che ci sarei stato anch’io», replicò Jacob. «Ha bisogno di sostegno morale».
«Sostegno morale», ripeté Edward sprezzante. «Fra noi mostri tu sei il più ributtante, per Charlie».
«Ributtante?», protestò Jake, poi ridacchiò fra sé.