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«Quindi sei una di loro», gorgogliò.

Speravo che riuscisse a leggermi in faccia il rimorso, a dispetto dei cambiamenti avvenuti nel mio viso.

Da sotto i capelli sentii Renesmee annusare. L’odore di Charlie era arrivato anche a lei. La strinsi più forte.

Charlie captò il mio sguardo ansioso e lo seguì verso il basso. «Oh», disse, mentre la rabbia lasciava il posto alla sorpresa. «È lei. L’orfanella che volete adottare».

«Mia nipote», mentì Edward con nonchalance. Doveva aver pensato che la somiglianza fra lui e Renesmee fosse troppo marcata per passare inosservata. Meglio dichiarare da subito un certo grado di parentela.

«Credevo non avessi famiglia», disse Charlie in tono accusatorio.

«Ho perso i genitori. Mio fratello maggiore è stato adottato, come me. Non l’ho mai più rivisto. Però il tribunale mi ha rintracciato quando è morto insieme alla moglie in un incidente d’auto, lasciando orfana la figlia, che non aveva nessun altro al mondo».

Edward era un maestro in certe cose. Voce pacata, innocente al punto giusto. Io avevo ancora parecchia strada da fare in quel senso.

Renesmee emerse dai miei capelli, sempre annusando. Lanciò a Charlie uno sguardo timido da sotto le lunghe ciglia e tornò a nascondersi.

«È... be’, sì, è bellissima».

«Sì», concordò Edward.

«Certo che vi siete presi una bella responsabilità. Avete appena messo su casa».

«Cos’altro potevamo fare?», disse Edward sfiorando la guancia di Renesmee. Lo vidi poggiarle le dita sulle labbra per un istante: un memento. «Tu ti saresti rifiutato?».

«Be’, ovvio che...». Charlie scosse la testa come a voler scacciare il pensiero. «Jake mi ha detto che si chiama Nessie».

«No», dissi, in un tono troppo acuto e tagliente. «Il suo nome è Renesmee».

Lo sguardo di Charlie tornò ad appuntarsi su di me. «Ma tu te la senti? Forse Carlisle ed Esme potrebbero...».

«È mia», lo interruppi. «La voglio».

Charlie s’accigliò. «Devo diventare nonno così presto?».

Edward sorrise. «Anche Carlisle è nonno».

Charlie lanciò uno sguardo incredulo a Carlisle, che era rimasto in piedi accanto all’ingresso e sembrava il fratello minore, e più bello, di Zeus.

Charlie grugnì mettendosi a ridere. «Immagino che questo dovrebbe farmi sentire meglio». Il suo sguardo tornò su Renesmee. «Certo che di bambini così non se ne vedono tutti i giorni». Il suo alito caldo riempì lo spazio che ci divideva.

Renesmee quasi si appoggiò contro l’odore, scuotendosi di dosso i miei capelli e guardando Charlie dritto in faccia per la prima volta. Charlie boccheggiò.

Sapevo cosa vedeva. I miei occhi — i suoi — replicati nel viso perfetto di Renesmee.

Charlie andò in iperventilazione. Riuscivo a leggere sulle sue labbra tremanti i numeri che pronunciava in silenzio. Contava alla rovescia, cercando di condensare nove mesi in uno. Si sforzava di far quadrare i conti, ma il suo cervello si rifiutava di accettare l’evidenza che gli si parava davanti.

Jacob si alzò e gli diede un paio di pacche sulla schiena. Poi si chinò a sussurrargli qualcosa all’orecchio; solo Charlie non sapeva che noi potevamo sentire le sue parole.

«Top secret, Charlie. Andrà tutto bene. Te lo prometto».

Charlie deglutì e poi annuì. Con lo sguardo acceso e i pugni serrati, si avvicinò di un passo a Edward. «Non voglio sapere tutto, ma sono stufo di sentirmi raccontare balle!».

«Mi dispiace», disse Edward calmo, «ma, più che la verità, ti serve conoscere la versione ufficiale. Se devi far parte del segreto, la versione ufficiale è ciò che conta. Per proteggere Bella e Renesmee, nonché tutti noi. Riesci a reggere qualche bugia per amore di loro due, almeno?».

La stanza era piena di statue. Incrociai le caviglie.

Charlie sbuffò e si voltò a guardarmi. «Avresti potuto avvertirmi in qualche modo, piccola».

«Avrebbe reso le cose più facili?».

Aggrottò le sopracciglia e s’inginocchiò sul pavimento davanti a me. Vedevo il suo sangue pulsare sotto la pelle del collo. Ne percepivo la vibrazione calda.

Anche Renesmee la sentiva. Sorrise e gli tese una manina rosea, il palmo in avanti. La trattenni. Lei appoggiò l’altra mano sul mio collo, nei suoi pensieri vi erano sete, curiosità e il viso di Charlie. La sensazione che avesse perfettamente compreso le parole di Edward era sottile e inquietante: provava sete e resisteva all’impulso in un unico pensiero.

«Wow», biascicò Charlie, lo sguardo fisso sulla dentatura perfetta di Renesmee. «Quanto tempo ha?».

«Ehm...».

«Tre mesi», rispose Edward, poi aggiunse piano, «cioè, ha le dimensioni di una bambina di circa tre mesi. Ma sotto certi aspetti è più piccola, sotto altri, invece, più matura».

Renesmee agitò il braccio con un gesto deciso.

Charlie batté violentemente le palpebre.

Jacob gli diede di gomito. «Te l’avevo detto che era speciale».

Charlie si ritrasse al contatto.

«E dai, Charlie», borbottò Jacob. «Sono sempre io, il solito vecchio Jake. Fai finta che questo pomeriggio non sia mai esistito».

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