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Udii le ruote dell’auto svoltare dalla strada principale e irrompere nel silenzio dello sterrato umido del vialetto che portava a casa Cullen e il respiro mi s’inchiodò nuovamente. Il cuore avrebbe dovuto battermi all’impazzata. L’assenza delle reazioni più ovvie mi causava un po’ di ansia.

Per calmarmi mi concentrai sul battito regolare del cuore di Renesmee. L’effetto fu quasi immediato.

«Ottimo, Bella», approvò Jasper in un sussurro.

Edward mi cinse le spalle con più forza.

«Sei sicuro?», gli chiesi.

«Sicurissimo. Puoi fare qualunque cosa». Sorrise e mi baciò.

Non fu esattamente un bacio casto e per un attimo la mia reazione inconsulta da vampira mi fece abbassare la guardia. Il contatto con le sue labbra era come un’iniezione di una qualche droga chimica ad altissimo potere d’assuefazione dritta nel mio sistema nervoso. Ne desiderai subito ancora. Mi occorse tutta la mia capacità di concentrazione per non dimenticare che tenevo Renesmee fra le braccia.

Jasper percepì il mio cambiamento d’umore. «Ehm, Edward, non la distrarre così proprio adesso. Deve essere in grado di concentrarsi».

Edward si tirò indietro. «Ops», disse.

Risi. Quella era sempre stata la mia battuta, sin dal primo bacio.

«Più tardi», dissi, e solo all’idea lo stomaco mi si contrasse.

«Concentrazione, Bella», incalzò Jasper.

«Vero». Scacciai i languori e mi concentrai su Charlie, la cosa più importante in quel momento. Tenere Charlie al sicuro. Avremmo avuto tutta la notte per...

«Bella».

«Scusa, Jasper».

Emmett rise.

Il rumore dell’auto della polizia guidata da Charlie si faceva sempre più vicino. Il momento di leggerezza passò e calò il silenzio. Accavallai le gambe e mi esercitai a battere le palpebre.

La macchina si fermò davanti alla casa e restò con il motore acceso per alcuni secondi. Mi chiesi se anche Charlie fosse nervoso quanto me. Poi il ronzio del motore cessò e si udì sbattere una portiera. Tre passi sull’erba, poi otto rimbombi sui gradini di legno. Altri quattro passi sotto il portico. Silenzio. Charlie fece due respiri profondi.

Toc, toc, toc.

Inspirai per quella che avrebbe potuto essere l’ultima volta. Renesmee era sprofondata fra le mie braccia, il viso nascosto fra i miei capelli.

Carlisle andò ad aprire, la tensione sul suo viso di colpo mutata in un’espressione di cordiale benvenuto, come se avesse cambiato canale alla TV.

«Ciao, Charlie», disse con la giusta dose di sconcerto dipinta in faccia. In fin dei conti avremmo dovuto essere al centro epidemiologico di Atlanta. Charlie sapeva che gli avevamo mentito.

«Carlisle», rispose Charlie impassibile. «Dov’è Bella?».

«Sono qui, papà».

Oddio, che voce strana mi era uscita. Per di più avevo usato parte della mia riserva d’aria. Rifeci rapidamente il pieno, ringraziando che l’odore di Charlie non avesse ancora saturato la stanza.

La sua espressione vuota mi confermò che avevo parlato con una voce non mia. Mi mise a fuoco e sgranò gli occhi.

Lessi le emozioni che provava una per una, mentre si succedevano sul suo viso.

Sorpresa. Incredulità. Dolore. Perdita. Paura. Rabbia. Sospetto. Di nuovo dolore.

Mi morsi il labbro. Che buffo. I miei nuovi denti erano più affilati, contro la pelle di granito, di quanto fossero quelli vecchi sulle mie soffici labbra umane.

«Bella, sei tu?», sussurrò Charlie.

«Sì». Trasalii a quella mia voce scampanellante. «Ciao, papà».

Respirò a fondo per farsi coraggio.

«Ciao, Charlie», lo salutò Jacob dall’angolo. «Come va?».

Charlie gli lanciò uno sguardo torvo, rabbrividì al ricordo e si voltò di nuovo verso di me.

Attraversò lentamente la stanza e si fermò a pochi passi da me. Saettò uno sguardo accusatore a Edward, poi tornò a fissarmi battendo le palpebre.

Il calore del suo corpo mi s’infrangeva addosso a ogni battito del suo cuore.

«Bella?», chiese di nuovo.

Tenni la voce bassa, nel tentativo di renderla meno trillante. «Sono proprio io».

Serrò le mascelle.

«Mi dispiace, papà», dissi.

«Stai bene?», chiese.

«Alla grande», assicurai. «Sana come un pesce».

E con quello finii la riserva d’ossigeno.

«Jake mi ha detto che era... necessario. Che stavi morendo». Lo disse come se non credesse a una sola parola.

Svuotai la mente, mi concentrai sul peso caldo di Renesmee, mi appoggiai a Edward per farmi forza e respirai profondamente.

L’odore di Charlie era un pugno di fuoco affondato nella mia gola. Ma c’era molto di più del dolore. C’era anche un desiderio pulsante, penetrante come una lama. Charlie aveva l’odore più delizioso che avessi mai sentito. Gli escursionisti sconosciuti che avevo rischiato di cacciare erano appetitosi, ma Charlie mi tentava il doppio. Ed era lì, a pochi passi da me, a intridere di calore e umidità l’aria asciutta della stanza. Inutile, mi faceva venire l’acquolina in bocca.

Però non ero a caccia. E lui era mio padre.

Edward mi strinse la spalla comprensivo e Jacob mi lanciò un’occhiata di scuse.

Mi sforzai di riprendere il controllo di me stessa e ignorare il dolore e la sete. Charlie aspettava una risposta.

«Jacob ti ha detto la verità».

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