Battei le palpebre scioccata, poi mi ricomposi. Riflettei per un istante e, considerato che Renesmee mi sembrava profondamente addormentata e che le cose parevano aver preso una piega positiva, decisi che tanto valeva sfidare la sorte fino all’ultimo.
«Tieni», dissi tendendo le braccia. Lui piegò di riflesso le sue a formare una sorta di goffa culla e io vi deposi Renesmee. La pelle di Charlie non era calda come quella di lei, ma al contatto con il calore che fluiva sotto quella sottile epidermide mi sentii pizzicare ugualmente la gola. Nel punto in cui il mio braccio freddo toccò il suo, gli venne la pelle d’oca. Non riuscii a stabilire se si trattasse di una reazione puramente fisiologica alla mia nuova temperatura corporea, o di un riflesso emotivo.
Charlie emise un piccolo grugnito nel sentire il peso di Renesmee. «È... bella tosta».
Aggrottai le sopracciglia. A me pareva leggera come una piuma. Forse avevo perso anche la percezione del peso.
«È un bene», aggiunse Charlie notando la mia espressione. Poi aggiunse, mormorando fra sé: «Dovrà essere tosta, in mezzo a questo delirio...». Dondolò piano le braccia. «È la bimba più bella che abbia mai visto. Batte persino te, piccola mia. Scusa, ma è la verità».
«Lo so».
«Questa bella bambina...», ripeté, ma tubava, ormai, più che parlare.
Gli leggevo in faccia che ne era stregato, vedevo crescere l’estasi di secondo in secondo. La teneva in braccio da mezzo minuto e già la sua magia gli aveva fatto perdere la testa, proprio come a tutti noi.
«Posso tornare domani?».
«Certo, papà. Ci trovi qui».
«Sarà meglio», disse in tono severo, ma l’espressione era tutta zucchero e miele, mentre continuava a fissare Renesmee. «Ci vediamo domani, Nessie».
«Anche tu?!».
«Eh?».
«Si chiama
«Certo».
«Carlie. Senz’acca. Come Carlisle e Charlie messi assieme».
Strizzò gli occhi nel suo sorriso caratteristico e s’illuminò tutto, prendendomi in contropiede. «Grazie, Bells».
«Sono io che devo ringraziare te, papà. Sono cambiate così tante cose in così poco tempo. Ho il cervello che mi bolle. Se non avessi te, avrei già mollato la presa... sulla realtà». Stavo per dire
Gli brontolò di nuovo lo stomaco.
«Vai a mangiare, papà. Ci ritroverai qui». Ricordai la mia prima, scomoda immersione in quella fantasia e la sensazione che tutto avesse potuto sparire con il sorgere del sole.
Charlie annuì e con riluttanza mi restituì Renesmee. Diede un’occhiata alla stanza, dietro di me. Un lampo confuso gli attraversò gli occhi mentre si guardava attorno nell’ambiente inondato di luce. Erano ancora tutti lì; anche Jacob, che sentivo rovistare nel frigorifero in cucina. Alice era seduta sul primo gradino della scala e Jasper le posava il capo in grembo; Carlisle stava tutto curvo, con il naso infilato dentro un grosso libro che teneva sulle gambe; Esme disegnava canticchiando fra sé, mentre Emmett e Rosalie erano tutti presi a costruire un enorme castello di carte sotto le scale; Edward strimpellava dolcemente al pianoforte. Niente lasciava presagire che il giorno stesse per finire, che fosse ora di cenare o di passare a qualche attività tipicamente serale. L’atmosfera era impercettibilmente mutata. I Cullen si stavano impegnando meno del solito a fingersi umani. Di quel minimo che bastava perché Charlie notasse la differenza.
Rabbrividì, scosse la testa e sospirò. «A domani, Bella». Poi aggrottò la fronte e aggiunse: «Senti, non è che non sei più... carina. Mi ci abituerò».
«Grazie, papà».
Charlie annuì e si avviò pensieroso all’auto. Lo guardai allontanarsi; soltanto quando sentii lo stridere degli pneumatici sulla strada asfaltata mi resi conto di avercela fatta. Non gli avevo fatto del male. C’ero riuscita, per un giorno intero. Ma allora possedevo
Mi sembrava troppo bello per essere vero. Sul serio potevo avere la mia nuova famiglia senza dover rinunciare alla vecchia? E io che credevo che il giorno prima fosse stato perfetto...
«Wow», sussurrai. Battei le palpebre e sentii disintegrarsi il terzo paio di lenti a contatto.
La musica del piano cessò e le braccia di Edward mi cingevano la vita, il suo mento sulla spalla.
«Mi hai rubato la parola di bocca».
«Edward, ce l’ho fatta!».
«Sì. Sei stata incredibile. Quelle paure da neonata... le hai saltate tutte a piè pari». Rise sommessamente.
«Secondo me non è neanche una vampira, figuriamoci una neonata», esclamò Emmett da sotto le scale. «È troppo
Tutti i commenti imbarazzanti che aveva fatto di fronte a mio padre mi risuonarono nelle orecchie e fu probabilmente un bene che avessi in braccio Renesmee. Non riuscii a impedirmi di ringhiare fra i denti.
«Uh, che paura», rise Emmett.