Emmett calciò il lastrone oltre il fiume. Il frammento tranciò a metà un giovane acero prima di fermarsi con un tonfo ai piedi di un grosso abete, che ondeggiò e si abbatté su un albero vicino.
«Rivincita. Domani».
«Non perderò le forze tanto presto», gli dissi. «Fra un mesetto, magari».
Emmett ringhiò, scoprendo i denti. «Domani».
«Tutto pur di farti felice, fratellone».
Voltandosi per andarsene diede un pugno al granito, da cui staccò una valanga di polvere e schegge. A modo suo, con quel comportamento infantile, mi faceva tenerezza.
Affascinata dalla prova inconfutabile di essere più forte del più forte vampiro che avessi mai conosciuto, appoggiai la mano aperta sulla roccia e premetti lentamente le dita nella pietra, sbriciolandola più che scavandola; la consistenza mi ricordò quella del formaggio duro. Mi ritrovai con una manciata di ghiaia in mano.
«Fico», mormorai.
Con un ghigno stampato in faccia ruotai su me stessa e diedi un colpo di taglio al masso. La pietra stridette, emise un gemito e si spezzò a metà sollevando una nuvola di polvere.
Iniziai a ridacchiare fra me.
Non prestai molta attenzione alle risatine alle mie spalle mentre prendevo a pugni e calci il resto del masso riducendolo in frammenti. Mi stavo divertendo troppo, sghignazzando ebbra di gioia. Fu solo quando udii una risata nuova, un ridacchiare acuto e argentino come di campanelli, che interruppi il mio stupido gioco.
«Sbaglio, o ha riso?».
Tutti fissavano Renesmee con la stessa espressione sbalordita che dovevo avere io.
«Sì», rispose Edward.
«E chi
«Dimmi che, la tua prima volta, non ti sei lasciato andare un pochino anche tu, cane», lo prese in giro Edward senza la benché minima nota di rivalità nella voce.
«È diverso», disse Jacob sferrando, con mia sorpresa, un pugno amichevole alla spalla di Edward. «Bella è una donna adulta, moglie e madre. Dovrebbe avere un po’ più di serietà».
Renesmee si accigliò e toccò il viso di Edward.
«Cosa vuole?», domandai.
«Meno serietà», rispose Edward ghignando. «Si stava divertendo a vedere come te la godevi, quasi quanto me».
«Sono buffa?», chiesi a Renesmee fiondandomi verso di lei e allungando le braccia per prenderla nel momento stesso in cui si tendeva verso di me. La presi da Edward e le offrii la scheggia che avevo in mano. «Vuoi provare?».
Renesmee sfoderò il suo sorriso scintillante, afferrò la pietra e la strinse fra le mani. La concentrazione le scavò una fossetta fra le sopracciglia.
Si udì il suono leggero di qualcosa che si sbriciolava e si intravide un po’ di polvere. Renesmee aggrottò la fronte e mi tese il sasso.
«Ci penso io», dissi riducendolo in sabbia fra pollice e indice.
Renesmee batté le mani e rise, e nell’udire quel suono delizioso ci unimmo tutti a lei.
Il sole comparve all’improvviso fra le nuvole, proiettando lunghi raggi oro e rosso rubino su noi dieci, e di colpo mi persi nella bellezza della mia pelle alla luce del tramonto. Ne ero abbagliata.
Renesmee ne accarezzò le sfaccettature lisce, che brillavano come un diamante, poi posò il braccio accanto al mio. La sua pelle possedeva una luminosità vaga, sottile e misteriosa, lontana dallo scintillio che mi avrebbe costretta a chiudermi in casa nelle giornate di sole. Mi toccò il viso, contrariata dalla differenza fra noi.
«Sei più bella tu», la rassicurai.
«Non sono sicuro di potermi dichiarare d’accordo», disse Edward ma, quando mi voltai per rispondergli, il sole sul suo viso mi lasciò senza parole.
Jacob teneva una mano davanti alla faccia, fingendo di ripararsi gli occhi dal riverbero. «L’assurda Bella», disse.
«Che creatura affascinante», mormorò Edward in tono di conferma, come se il commento di Jacob fosse stato un complimento. Era abbagliato e abbagliante.
Era una sensazione strana — eppure non mi sorprendeva, perché ormai tutto era strano -, quella di possedere un talento naturale per qualcosa. Da umana non ero mai stata la migliore in niente. Con Renée me l’ero cavata abbastanza bene ma, probabilmente, un mucchio di gente se la sarebbe cavata meglio; Phil mi sembrava in gamba. A scuola andavo bene, ma non ero mai stata la prima della classe. Doti sportive, nemmeno a parlarne. Nessuna inclinazione artistica né musicale, nessun talento particolare da vantare. Premi a chi leggeva troppi libri non ne davano mai. Dopo diciotto anni di mediocrità ero abbastanza abituata a rientrare nella media. D’un tratto mi resi conto che avevo rinunciato da tempo a qualunque aspirazione di emergere, di brillare. Sfruttavo al meglio ciò che avevo, senza mai sentirmi a posto veramente nel mio mondo.
Adesso, invece, era diverso. Ero stupefacente per loro e per me stessa. Era come se fossi nata per essere una vampira. Al pensiero mi venne voglia di ridere, persino di mettermi a cantare. Avevo trovato il mio posto nel mondo, un posto su misura per me, il posto in cui brillare.
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Progetti di viaggio
Da quando ero diventata una vampira, prendevo la mitologia molto più sul serio.