Una fanfara trillò all’improvviso fra le note che si libravano. Riconobbi la mia battuta d’entrata.
«Non lasciarmi cadere, papà», sussurrai. Charlie prese la mia mano sottobraccio e la strinse forte.
Superate le insidiose scale, lo cercai. Per un breve istante mi lasciai distrarre dalle ghirlande di boccioli bianchi appese a ogni appiglio possibile nella stanza, punti fermi da cui partivano lunghe file di nastri sottilissimi di tulle. Poi distolsi lo sguardo da quella sorta di baldacchino, cercai fra le file di sedie avvolte nel raso bianco — sempre più rossa in viso, mentre affrontavo la folla di volti tutti girati verso di me — e infine lo trovai, davanti a un arco traboccante di altri fiori e altri nastri.
Quasi non mi accorsi che al suo fianco c’era Carlisle e alle loro spalle il padre di Angela. Non vidi mia madre nel posto in prima fila che probabilmente occupava, né la mia nuova famiglia o gli ospiti: avrebbero dovuto aspettare.
Non vedevo altro che il viso di Edward: colmava il mio orizzonte e sconvolgeva i miei pensieri. L’oro dei suoi occhi era morbido e ardente nel volto perfetto quasi accigliato, tanto profonda era l’emozione. Ma poi, quando incrociò il mio sguardo intimorito, si aprì in un sorriso esultante e mozzafiato.
In quell’istante, non fosse stato per la mano di Charlie che stringeva la mia, gli sarei corsa incontro a perdifiato lungo il corridoio che si apriva fra gli invitati.
La marcia era troppo lenta, sforzavo il mio passo a seguirne il ritmo. Grazie al cielo, la distanza era brevissima. Poi, finalmente, eccomi. Edward mi porse una mano. Charlie prese la mia e con un gesto simbolico vecchio quanto il mondo la posò su quella di Edward. Toccai il freddo miracolo della sua pelle e mi sentii a casa.
Ci scambiammo le promesse con le parole semplici e tradizionali già pronunciate milioni di altre volte, ma forse mai da una coppia come la nostra. Avevamo chiesto al signor Weber un solo piccolo cambiamento. E lui accettò di correggere «finché morte non ci separi» nel più appropriato «fino a quando entrambi vivremo».
In quel momento, mentre il pastore parlava, mi sembrò che il mio mondo, rimasto sottosopra così a lungo, iniziasse a tornare al suo posto. Capii che ero stata una sciocca a temere tutto questo, neanche fosse un regalo di compleanno indesiderato o una passerella imbarazzante come il ballo di fine anno. Incrociai lo sguardo luminoso e trionfante di Edward e capii che era una vittoria anche mia. Perché l’unica cosa che importasse era poter stare con lui.
Mi accorsi che piangevo soltanto al momento di pronunciare le parole che ci avrebbero unito.
«Sì», riuscii ad ansimare con un sussurro incomprensibile, battendo le palpebre per schiarirmi lo sguardo e vederlo meglio in volto.
Quando toccò a lui, la parola risuonò netta e trionfante.
«Sì», promise.
Il signor Weber ci dichiarò marito e moglie e le mani di Edward si avvicinarono al mio volto per cingerlo con dolcezza, come fosse delicato quanto i petali bianchi che dondolavano sulle nostre teste. Accecata dal velo di lacrime, cercai di capacitarmi del fatto surreale che quella persona straordinaria fossi
Fu un bacio tenero, adorante. Dimenticai la folla, il luogo, il tempo, la ragione. Ricordavo solo che mi amava, che mi voleva, che ero sua.
Lui lo aveva iniziato e stava a lui concludere quel bacio, ma io lo strinsi forte, ignorando le risatine e i colpi di tosse dei presenti. Alla fine le sue mani lasciarono il mio viso e, troppo presto, fece un passo indietro per guardarmi. A prima vista, il suo sorriso spontaneo sembrava divertito, quasi compiaciuto. Ma dietro il momentaneo divertimento per la mia esibizione pubblica c’era una gioia profonda, eco della mia.
La folla scoppiò in un applauso ed Edward si voltò con me verso i nostri amici e parenti. Io però non riuscivo ad allontanare lo sguardo dal suo volto.
Le braccia di mia madre furono le prime a trovarmi, il suo viso solcato di lacrime il primo che vidi quando, controvoglia, distolsi gli occhi da Edward. Poi fu un susseguirsi di abbracci, da un invitato all’altro, senza capire bene chi mi stringesse, mentre la mia attenzione era tutta concentrata sulla mano di Edward intrecciata alla mia. Riconoscevo la differenza fra gli abbracci morbidi e caldi degli umani e quelli delicati e freddi della mia nuova famiglia.
Un abbraccio rovente si distinse fra tutti: Seth Clearwater aveva sfidato la folla di vampiri per sostituire il mio amico licantropo assente.
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