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«Be’, vedo che hai riciclato le decorazioni della festa per il diploma», dissi mentre imboccavamo la stradina alberata. Quei cinque chilometri erano di nuovo avvolti da migliaia di lucine intermittenti. Ma stavolta Alice aveva aggiunto fiocchi di raso bianco.

«Il risparmio è il miglior guadagno. Goditi queste, perché non vedrai le decorazioni all’interno fino all’ultimo». Entrò nel cavernoso garage sul lato settentrionale della casa; la grossa Jeep di Emmett non c’era ancora.

«E da quando la sposa non può vedere gli addobbi?», protestai.

«Da quando mi ha affidato i preparativi. Voglio che ti goda l’effetto d’insieme quando scenderai lo scalone».

Prima che entrassimo in cucina mi coprì gli occhi con la mano. Il profumo mi assalì immediatamente.

«Troppo?». La voce di Alice si fece subito preoccupata. «Sei il primo essere umano a entrare, spero di averci azzeccato».

«Ma è meraviglioso!», la rassicurai. Quasi inebriava, ma era tutt’altro che nauseante e l’equilibrio fra aromi diversi era sottile e impeccabile. «Fiori d’arancio... lillà... e qualcos’altro. Giusto?».

«Brava, Bella. Ti sono sfuggite soltanto la fresia e le rose».

Non mi scoprì gli occhi finché non entrammo nel suo immenso bagno. Osservai il lungo bancone, sepolto sotto un armamentario da salone di bellezza, e iniziai ad avvertire i postumi della notte insonne.

«È davvero necessario? Accanto a lui sembrerò comunque insignificante».

Mi spinse su una sediolina rosa. «Nessuno oserà dire che sei "insignificante" dopo che avrò finito».

«Per forza, avranno paura che tu li dissangui», brontolai. Mi lasciai andare sulla sedia e chiusi gli occhi, nella speranza di schiacciare un sonnellino. Scivolai nel dormiveglia riemergendone di tanto in tanto, mentre Alice usava maschere per levigare e far risplendere tutta la superficie del mio corpo.

Dopo pranzo Rosalie passò silenziosa davanti alla porta del bagno, vestita di un abito da sera argenteo e scintillante, i capelli d’oro raccolti in una corona morbida sulla testa. Era così bella da farmi venir voglia di piangere. Che senso aveva mettermi elegante se c’era lei nei paraggi?

«Sono tornati», disse Rosalie e il mio infantile attacco di angoscia sparì all’istante. Edward era qui, a casa.

«Non farlo entrare!».

«Oggi non ti si avvicinerà», la rassicurò Rosalie. «Non gli va di rischiare la vita. Esme li ha mandati a finire i preparativi sul retro. Serve aiuto? Posso farle i capelli».

Restai attonita a bocca aperta. Rosalie non era mai stata una mia ammiratrice. Oltretutto, tanto per rendere ancora più tesi i nostri rapporti, si sentiva offesa nell’intimo dalla scelta che stavo per fare. Nonostante la sua incredibile bellezza, l’amore della sua famiglia e l’anima gemella che aveva trovato in Emmett, avrebbe ceduto tutto pur di tornare umana. Invece, io stavo per gettar via senza pietà tutto ciò che lei desiderava dalla vita, neanche fosse spazzatura. La cosa non aveva affatto contribuito a ingraziarmela.

«Certo», rispose Alice tranquilla. «Puoi iniziare a intrecciarli. Voglio una cosa complicata. Il velo va qui, al di sotto». Iniziò ad armeggiare fra i miei capelli, che sollevava e annodava per mostrare in dettaglio la sua idea. Terminata la spiegazione, le mani di Rosalie rimpiazzarono le sue e modellarono la mia chioma, sfiorandola leggere come piume. Alice tornò a occuparsi del mio viso.

Dopo averla elogiata per la sua opera, Alice spedì Rosalie a recuperare il mio abito e a rintracciare Jasper, che aveva il compito di passare a prendere mia madre e suo marito Phil in albergo.

Al piano terra sentivo il rumore lontano della porta d’ingresso che si apriva e chiudeva di continuo. Le voci iniziarono a fluttuare fino alla nostra stanza.

Alice mi fece alzare in piedi, per infilarmi il vestito senza toccare i capelli e il trucco. Mentre chiudeva la lunga fila di bottoni perlati sulla schiena, le gambe mi tremavano così forte da produrre increspature sul raso.

«Respira a fondo, Bella», disse Alice. «E cerca di rallentare il battito del cuore. Non vorrai sciogliere il tuo nuovo viso con il sudore?».

Le rivolsi l’espressione più sarcastica che potevo. «Ci starò attenta».

«Ora devo vestirmi. Riesci a tener duro per due minuti?».

«Ehm... forse».

Alzò gli occhi al cielo e sfrecciò fuori.

Mi concentrai sul respiro, contandone ogni movimento mentre fissavo i riflessi prodotti dalla luce del bagno sul tessuto splendente della gonna. Avevo paura di guardarmi allo specchio: temevo che la mia immagine in abito da sposa mi spedisse a rotta di collo verso un attacco di panico in grande stile.

Alice tornò prima del mio duecentesimo respiro, con un abito che avvolgeva come una cascata argentea il suo corpo sottile.

«Alice... wow».

«Non è niente. Nessuno mi guarderà oggi. Non in tua presenza».

«Spiritosa!».

«Ora, riesci a controllarti o devo chiamare Jasper?».

«Sono tornati? C’è anche mamma?».

«È appena entrata. Sta salendo».

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