A quanto pareva, una decisione l’aveva già presa. Chissà quale.
«Vale anche per me», disse Randall.
«E per me», aggiunse Mary.
«I nostri branchi si batteranno insieme ai Cullen», disse repentino Jacob. «Non abbiamo paura dei vampiri», aggiunse con un sorrisino.
«Bambini», borbottò Peter.
«Infanti», lo corresse Randall.
Jacob sorrise sarcastico.
«Anch’io ci sto», disse Maggie, scrollandosi di dosso la mano di Siobhan che la tratteneva. «So che la verità è dalla parte di Carlisle. E non posso ignorarlo».
Siobhan fissò il membro più giovane del suo clan con sguardo preoccupato. «Carlisle», disse come se fossero da soli, negando che l’atmosfera di quella riunione fosse stata resa improvvisamente formale dalla serie di dichiarazioni inattese, «non voglio che si arrivi a uno scontro».
«Neanch’io, Siobhan. Sai che è l’ultima cosa che vorrei». Abbozzò un sorriso. «Forse dovresti concentrarti sul mantenimento della pace».
«Sai che non servirà a niente», disse.
Mi ricordai la discussione fra Rose e Carlisle sul capo dei vampiri irlandesi: Carlisle era convinto che Siobhan avesse il dono nascosto, ma potente, di far andare le cose come desiderava, eppure la stessa Siobhan non ci credeva.
«Male non farà», disse Carlisle.
Siobhan alzò gli occhi al cielo. «Devo immaginare il risultato che desidero?», chiese sarcastica.
Ora Carlisle rideva apertamente. «Se non ti dispiace».
«Allora, visto che non ci sarà alcuno scontro, non c’è nessun bisogno che il mio clan si schieri apertamente, no?», ribatté. Appoggiò di nuovo la mano sulla spalla di Maggie, attirandola più vicino a sé. Liam, il compagno di Siobhan, restò in silenzio, impassibile.
Quasi tutti nella sala sembravano spiazzati dallo scambio di battute chiaramente giocoso fra Carlisle e Siobhan, ma i due non si persero in spiegazioni.
E fu così che si conclusero i discorsi impegnativi per quella sera. Il gruppo si sparpagliò gradualmente, alcuni uscendo a caccia, altri per ammazzare il tempo con i libri di Carlisle, la televisione o i computer.
Io, Edward e Renesmee andammo a caccia. Jacob si aggregò.
«Stupide sanguisughe», borbottò fra sé quando uscimmo. «Si credono tanto superiori», sbuffò.
«Ci rimarranno di sasso quando gli
Jake sorrise e gli diede un pugno sulla spalla. «Ci puoi scommettere!».
Quella non sarebbe stata la nostra ultima battuta di caccia. Ne avremmo fatta un’altra a ridosso del momento in cui ci aspettavamo l’arrivo dei Volturi. Poiché la data dell’ultimatum non era precisa, avevamo in programma di trattenerci per qualche notte all’aperto nella radura grande come un campo da baseball che Alice aveva visto, per precauzione. Sapevamo solo che sarebbero arrivati il giorno in cui la neve avrebbe attecchito al suolo. Non volevamo che i Volturi si avvicinassero troppo alla città e Demetri li avrebbe condotti dovunque ci trovassimo.
Mi chiesi chi avrebbe scelto come obiettivo della propria ricerca e ipotizzai che si trattasse di Edward, dato che non poteva rintracciare me.
Mentre cacciavo, riflettei su Demetri, prestando scarsa attenzione alla mia preda o ai fiocchi di neve vaganti che alla fine erano apparsi, ma che si scioglievano ancor prima di toccare il suolo roccioso. Demetri si sarebbe accorto che non era in grado di individuarmi? Che conclusioni ne avrebbe tratto? E Aro? E se Edward si sbagliava? Magari c’era qualche piccola eccezione a quanto ero in grado di reggere, piccoli modi di aggirare il mio scudo. Tutto ciò che si trovava al di fuori della mia mente era vulnerabile, preda potenziale dei poteri di Jasper, Alice o Benjamin. Forse anche il talento di Demetri funzionava in modo un po’ diverso dagli altri.
Poi pensai a una cosa che mi fece bloccare di colpo. L’alce che avevo quasi dissanguato mi sfuggì di mano e cadde sul suolo roccioso. I fiocchi di neve si scioglievano a pochi centimetri dal suo corpo tiepido con minuscoli sfrigolii. Mi fissai le mani insanguinate, con sguardo vacuo.
Edward notò la mia reazione e si affrettò a raggiungermi, senza finire di dissanguare la sua preda.
«Cosa c’è?», chiese sottovoce, passando in rassegna il bosco intorno a noi in cerca di quella che poteva essere la causa del mio scatto.
«Renesmee», dissi con voce soffocata.
«È appena al di là di quegli alberi», mi rassicurò. «Sento i suoi pensieri e quelli di Jacob. Sta benone».
«Non intendevo questo», dissi. «Pensavo al mio scudo: tu credi che valga veramente qualcosa, che ci possa aiutare in qualche modo? So che gli altri sperano che io riesca a riparare sotto lo scudo Zafrina e Benjamin, anche se ce la faccio a mantenerlo attivo solo per qualche secondo alla volta. E se invece ci sbagliassimo? Se la tua fiducia in me fosse la causa della nostra sconfitta?».
La mia voce rasentava l’isteria, anche se avevo mantenuto il controllo sufficiente a parlare piano. Non volevo turbare Renesmee.