Afferrai un frammento bianco e morbido fra le dita. Era un brandello di imbottitura.
«Perché sono coperta di piume?», domandai, confusa.
Sbuffò impaziente. «Ho morso un cuscino. O forse più d’uno. Ma non è di questo che parlo».
«Hai... morso un cuscino? E perché?».
«Guarda, Bella!». Fu quasi un ruggito. Mi prese la mano, con grande circospezione, e mi tirò il braccio. «Guarda
E finalmente vidi a cosa si riferiva.
Sotto lo strato di piume, grossi lividi violacei iniziavano a fiorire sulla pelle chiara del mio braccio. Seguii il tracciato che disegnavano, fino alla spalla e poi giù fra le costole. Liberai una mano per fare pressione su una macchia all’altezza dell’avambraccio sinistro: al mio tocco svanì e poi riapparve. La sentivo quasi pulsare.
Con leggerezza, come se nemmeno mi toccasse, Edward sfiorò i lividi del mio braccio, uno alla volta, mostrandomi che combaciavano con la sagoma delle sue dita.
«Oh», dissi.
Cercai inutilmente nella memoria, ma non ricordavo nessun dolore. Non riuscivo a evocare momenti in cui la sua stretta era stata troppo forte, le mani troppo violente su di me. Ricordavo soltanto il desiderio di farmi stringere più forte e il piacere quando mi aveva esaudito...
«Mi... dispiace, Bella, davvero», sussurrò mentre fissavo i lividi. «Avrei dovuto saperlo. Non era il caso di...». A bocca chiusa, brontolò qualcosa, disgustato. «Non trovo le parole per dirti quanto mi dispiaccia».
Si coprì il volto con le mani e restò perfettamente immobile.
Ne fui totalmente sbalordita e cercai di valutare, ora che ne capivo il motivo, quanto grande fosse la sua tristezza. Ma era troppo agli antipodi di come mi sentivo e non riuscivo a immaginarla.
La sorpresa svanì piano e niente occupò il suo posto. Vuoto. La mia mente era vuota. Non sapevo cosa dire. Come facevo a spiegarglielo nel modo migliore? Era possibile renderlo felice com’ero io, anzi com’ero
Gli toccai un braccio, ma lui non reagì. Gli strinsi il polso con le dita e cercai di strappargli una mano dal viso ma, con tutta la buona volontà, avrei avuto miglior successo se fosse stato una statua.
«Edward».
Non si mosse.
«Edward?».
Niente. D’accordo, era il momento del monologo.
«A me non dispiace, Edward. Io sono... non riesco neanche a dirtelo. Sono talmente
«Non pronunciare la parola "bene"». La sua voce era di ghiaccio. «Se ti sta a cuore la mia salute psichica, non dirmi che stai bene».
«Ma è così», sussurrai.
«Bella». Fu quasi un lamento. «Basta».
«No.
Spostò un braccio. I suoi occhi dorati mi guardavano con timore.
«Non rovinare tutto», dissi. «Io. Sono. Felice».
«Ho già rovinato tutto», sussurrò.
«Piantala», sbottai.
Lo sentii digrignare i denti.
«Uffa! Perché non sei ancora capace di leggermi nel pensiero? È davvero fastidioso essere una muta mentale!».
Rilassò un poco lo sguardo, distratto suo malgrado.
«Questa è nuova. Sei sempre stata felice che non ti leggessi nel pensiero».
«Non oggi».
Mi studiò. «Perché?».
Alzai le mani, frustrata e colta da un dolore alla spalla che ignorai. Lo colpii al petto con un violento schiocco. «Perché capiresti quanto tutta questa angoscia sia completamente inutile se solo potessi vedere come sto adesso! O cinque minuti fa, ecco.
«È giusto che tu ce l’abbia con me».
«Be’, ora è così. Ti senti meglio?».
Sospirò. «No. Non c’è niente che potrebbe farmi sentire meglio, adesso».
«
Alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.
Sbuffai. Iniziavo a sentirmi indolenzita, ma non stavo poi così male. Più o meno come il giorno dopo aver sollevato dei pesi. Lo avevo fatto assieme a Renée durante un suo periodo di ossessione per il fitness. Sessantacinque allungamenti con quattro chili per mano. Non ero riuscita a camminare per un giorno intero. Il dolore che provavo in quel momento era niente al confronto.
Ingoiai la mia irritazione e cercai di addolcire il tono. «Sapevamo che stavamo rischiando. Lo davo per scontato. E invece, be’, è stato molto più facile di quanto pensassi. E questo non è niente, davvero». Feci scorrere le dita lungo il suo braccio. «Secondo me, per essere la prima volta, senza sapere cosa ci aspettava, ce la siamo cavata alla grande. Con un po’ di esercizio...».
Di colpo lo vidi illividire e la parola mi si troncò in gola.
«Scontato? Ti aspettavi tutto questo, Bella? Avevi messo in conto che ti facessi del male? Pensavi sarebbe andata peggio? Consideri l’esperimento un successo solo perché sei sopravvissuta? Niente ossa rotte uguale vittoria?».
Attesi che finisse di sfogarsi. Poi che il suo respiro tornasse normale. Quando i suoi occhi si calmarono risposi con lentezza e precisione.