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«Ti sembro così repellente?», domandai in tono volutamente leggero. Riprese a respirare, ma non si girò, forse per celarmi la sua espressione. Andai in bagno a controllare.

Guardai il mio corpo nudo nello specchio verticale dietro la porta.

Ne avevo viste di peggio, altroché. Su una guancia c’era un’ombra appena accennata, le labbra erano un po’ gonfie, ma tutto sommato la faccia era a posto. Il resto era decorato da macchie blu e viola. Mi concentrai sui lividi più difficili da nascondere, quelli sulle spalle e sulle braccia. Non erano così tremendi. La mia pelle guariva in fretta. Quando appariva un livido, avevo già dimenticato cosa l’avesse provocato. Ovviamente, questi erano appena all’inizio. Un giorno di tempo e il mio aspetto sarebbe peggiorato. Il che non avrebbe affatto facilitato le cose.

A quel punto mi guardai la testa e mi sfuggì un lamento.

«Bella?». Fu al mio fianco non appena aprii bocca.

«Non riuscirò mai a togliermele tutte dai capelli!». Indicai lì dove sembrava essersi annidata una gallina. Iniziai a sfilarle una per una.

«Proprio dei capelli ti preoccupi», brontolò, ma mi si avvicinò alle spalle e iniziò a estrarle molto più velocemente di me.

«Come fai a non ridere? Sono ridicola».

Non rispose e continuò a togliere le piume. Del resto, conoscevo la risposta: era troppo di malumore per ridere.

«Così non va», sospirai dopo un minuto. «Sono tutte appiccicate. Devo cercare di lavarle via». Mi voltai, abbracciandolo alla vita. «Mi aiuti?».

«Meglio che vada a prepararti da mangiare», disse a bassa voce e con delicatezza sciolse l’abbraccio. Sospirai mentre lo guardavo allontanarsi troppo veloce.

Sembrava proprio che la luna di miele fosse finita. Avvertii un grosso nodo alla gola.

Libera dalle piume, m’infilai un abito di cotone, bianco e poco familiare, che nascondeva le macchie viola più evidenti. Mi diressi a piedi scalzi verso il profumo di uova, pancetta e formaggio.

Edward stava davanti al fornello d’acciaio, intento a servire un’omelette sul piatto celestino posato sul piano cucina. Il profumo del cibo m’invase. Avevo così fame che avrei mangiato il piatto e la padella.

«Ecco», disse. Si voltò, con il sorriso sulle labbra, e spostò il piatto su un tavolino piastrellato.

Mi sedetti su una delle due sedie di ferro e iniziai a divorare le uova calde. Bruciavano in gola, ma non mi importava.

Lui si accomodò all’altro lato del tavolo. «Non ti do da mangiare abbastanza spesso».

Deglutii e risposi: «Stavo dormendo. A proposito, sono molto buone. Niente male, per uno che non mangia».

«La prova del cuoco», precisò sfoderando il mio sorriso sghembo preferito.

Fui felice di vederlo, felice che stesse tornando pian piano in sé.

«Dove hai preso le uova?».

«Ho chiesto ai domestici di riempire il frigo. Una novità, in questa casa. Dovrò chiedere loro di occuparsi anche delle piume...». S’interruppe, gli occhi fissi su un punto sopra la mia testa. Tacqui, non volevo dire nulla che potesse turbarlo di nuovo.

Mangiai tutto, malgrado avesse cucinato per due.

«Grazie», dissi. Mi chinai sul tavolino per baciarlo. Lui restituì il bacio automaticamente, ma poi s’irrigidì e si allontanò.

Strinsi le mascelle e la domanda che posi ebbe il tono di un’accusa. «Non mi toccherai più finché staremo qui, vero?».

Prima di rispondere abbozzò un sorriso e mi accarezzò una guancia. Le dita esitarono dolcemente sulla mia pelle e non potei fare a meno di appoggiarmi al palmo della sua mano.

«Lo sai che non è quello che vorrei».

Sospirò e allontanò la mano. «Lo so. Ma è così». In silenzio, sollevò lievemente il capo. Poi riprese a parlare con fermezza e decisione. «Non farò l’amore con te finché non ti sarai trasformata. Non voglio farti del male, mai più».

6

Distrazioni

Il mio svago divenne la priorità numero uno sull’Isola Esme. Ci dedicavamo all’osservazione dei fondali (io nuotavo con il boccaglio mentre Edward si beava della capacità di restare senza ossigeno a piacimento). Esploravamo la piccola giungla che circondava il basso picco roccioso. Andavamo a vedere i pappagalli che vivevano fra il fogliame del capo meridionale dell’isola. Guardavamo il tramonto dalle rocce della baia occidentale e nuotavamo assieme alle focene che giocavano nelle sue acque calde e basse. Io, perlomeno: quando Edward entrava in acqua, le focene si dileguavano come se fosse arrivato uno squalo.

Sapevo cosa stava succedendo. Edward cercava di tenermi occupata, di distrarmi, per impedirmi di assillarlo continuamente a proposito del sesso. Ogni volta che proponevo di prendercela più comoda e di approfittare dei milioni di DVD e del maxischermo al plasma, mi attirava fuori casa grazie a parole magiche come "barriera corallina", "grotte subacquee" oppure "tartarughe marine". Non ci fermavamo mai, mai, mai, e quando finalmente giungeva il tramonto mi ritrovavo affamata ed esausta.

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