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Lo fissò in volto, leggendo con attenzione la sua espressione. Poi annuì e si accasciò sul divano. Rosalie l’aiutò ad adagiare la schiena sui cuscini. Bella mi fissava, cercando di intercettare il mio sguardo.

«Fate i bravi», ordinò. «E poi tornate qui».

Non risposi. Non era il giorno giusto per fare promesse. Distolsi lo sguardo e seguii Edward fuori dalla porta principale.

Una voce isolata, dissociata dal resto dei miei pensieri, rilevò che non era stato poi tanto difficile separarlo dalla congrega.

Camminava senza neanche voltarsi per verificare che non stessi per prenderlo di sorpresa alle spalle. Immagino non ne avesse bisogno. Se avessi deciso di attaccarlo lo avrebbe saputo, il che significava prendere la decisione e contemporaneamente agire.

«Non sono ancora pronto per farmi uccidere da te, Jacob Black», sussurrò mentre si allontanava dalla casa. «Dovrai pazientare ancora un po’».

Come se m’importasse qualcosa della sua tabella di marcia. Grugnii fra i denti. «La pazienza non è la mia specialità».

Proseguì per un paio di centinaia di metri lungo il viottolo sterrato di casa Cullen, con me alle calcagna. Ribollivo, mi tremavano le mani. Stavo sul chi va là, pronto e vigile.

Si fermò senza preavviso e si girò. Mi guardò dritto in faccia e la sua espressione mi paralizzò di nuovo.

Per un attimo mi sentii un bambino, un bambino che aveva trascorso tutta la vita nella stessa cittadina. Un bambino e nient’altro. Perché sapevo che avrei dovuto vivere molto di più, soffrire molto di più, per capire il tormento lancinante che traspariva dagli occhi di Edward.

Sollevò una mano come per detergersi il sudore dalla fronte, ma le dita stridettero sulla sua faccia quasi stessero strappando la pelle granitica. Gli occhi neri ardevano nelle orbite, fuori fuoco o concentrati su cose che non c’erano. La bocca era spalancata come se stesse per urlare, ma non ne uscì alcun suono.

Era il volto di un uomo che bruciava sul rogo.

Per un attimo non riuscii a parlare. Era tutto vero: in casa ne avevo visto una parvenza riflessa negli occhi di lei e in quelli di lui, ma solo adesso diventava reale. L’ultimo chiodo che la chiudeva nella bara.

«La sta uccidendo, vero? Sta morendo». E dicendolo ebbi la certezza che la mia faccia era una copia sbiadita della sua. Più incerta e diversa, perché io ero ancora sotto shock. Ancora non me ne capacitavo, stava succedendo troppo in fretta. Lui aveva avuto tutto il tempo di rendersene conto. Ed era diversa perché io l’avevo già persa tante volte, e in tante maniere differenti, nella mia mente. E perché non era mai stata fino in fondo mia, perciò non potevo perderla davvero.

Era diversa anche perché non era colpa mia.

«Colpa mia», sussurrò Edward e gli cedettero le ginocchia. Mi crollò di fronte, vulnerabile, un bersaglio fin troppo facile.

Ma ero freddo come neve, dentro di me non ardeva alcun fuoco.

«Sì», gemette, sprofondato nel terriccio, come se si stesse confessando. «Sì, la sta uccidendo».

La sua inettitudine, la sua arrendevolezza m’irritavano. Io volevo una battaglia, non un’esecuzione. Dov’era finita la superiorità di cui si vantava tanto?

«Perché Carlisle non ha fatto niente?», sbottai. «È un dottore, no? Perché non lo tira fuori?».

Alzò lo sguardo e mi rispose con voce stanca, quasi fosse costretto a spiegare la situazione a un bambino dell’asilo per l’ennesima volta. «Non ce lo permette».

Mi occorse un minuto per afferrare il senso delle sue parole.

Cavolo, c’era da aspettarselo. Voleva morire per dare un figlio al mostro. Era tipico di Bella.

«La conosci bene», sussurrò. «Tu la capisci al volo... io no. Non abbastanza, almeno. Durante tutto il viaggio di ritorno verso casa non ne ha fatto parola. Pensavo fosse spaventata, com’era logico. Credevo ce l’avesse con me per averla cacciata in questa situazione, per aver messo a repentaglio la sua vita, ancora una volta. Non potevo immaginare cosa pensava davvero, cosa stesse decidendo. L’ho capito solo quando i miei ci sono venuti a prendere all’aeroporto e lei si è precipitata fra le braccia di Rosalie. Di Rosalie! E allora ho sentito cosa stava pensando Rosalie. In quel momento, tutto è diventato chiaro. Tu, invece, ci metti un secondo a capirla...», concluse con un sospiro che era per metà un gemito.

«Facciamo un passo indietro. Non ve lo permette». Sentii sulla lingua tutta l’acidità del mio sarcasmo. «Ti sei accorto che ha la stessa forza di una qualsiasi ragazza di cinquanta chili? Quanto siete stupidi voi vampiri? Bloccatela e imbottitela di medicine, no?».

«Volevo», bisbigliai. «Carlisle avrebbe...».

E allora perché? Un eccessivo senso dell’onore?

«No, l’onore non c’entra. La sua guardia del corpo ha complicato le cose».

Ah, ecco. Fino a quel momento non ero riuscito a cogliere il senso della storia, ma adesso s’incastrava tutto. Ecco a cosa serviva la bionda. Ma lei che ci guadagnava? La reginetta di bellezza voleva lasciar morire Bella in modo così atroce?

«Forse», disse. «Ma Rosalie non la pensa esattamente in questo modo».

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