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Edward la ignorò. «Bella», disse con lo stesso tono vacuo, «Jacob vuole parlarti. Hai paura di restare da sola con lui?».

Bella era confusa. Guardò prima me, poi Rosalie.

«Rose, è tutto a posto. Jake non ci farà del male. Vai con Edward».

«Potrebbe essere un trabocchetto», la mise in guardia la bionda.

«Mi pare improbabile», rispose Bella.

«Potrai tenere me e Carlisle sott’occhio, Rosalie», disse Edward. La sua voce, che fino a quel momento non aveva tradito alcuna emozione, d’improvviso era rotta. Dalle crepe che si erano formate fluiva la rabbia. «Siamo noi che le facciamo paura».

«No», si oppose debolmente Bella. Aveva gli occhi lucidi, le ciglia umide. «No, Edward. Io non...».

Edward scosse la testa, accennò un sorriso. Vedendolo, sentii una fitta di dolore. «Mi sono espresso male, Bella. Tranquilla, io sto bene. Non preoccuparti per me».

Che nausea. Edward aveva ragione: pur di non urtare i suoi sentimenti, Bella avrebbe sopportato qualsiasi cosa. Quella ragazza era una vera e propria martire. Nata nel secolo sbagliato, altroché. Se fosse vissuta in un’altra epoca si sarebbe data in pasto ai leoni in nome di una buona causa.

«Tutti», disse Edward, indicando con un gesto secco la porta. «Per favore».

Per quanto si sforzasse di mantenere un certo contegno di fronte a Bella, ormai vacillava. Somigliava in maniera impressionante all’uomo divorato dalle fiamme che avevo intravisto fuori. Non fui l’unico a notarlo. In silenzio, gli altri si diressero alla porta. Mi scostai per lasciare libero il passaggio. Non persero tempo.

Il cuore mi batteva all’impazzata. Nella stanza erano rimasti soltanto Rosalie, che esitava, ed Edward, che l’aspettava sulla soglia.

«Rose», disse piano Bella. «Voglio che tu vada».

La bionda lanciò un’occhiataccia a Edward e gli fece cenno di precederla. Lui sparì oltre la porta. Lei mi guardò torvo, come a intimarmi di stare in campana, e poi scomparve.

Quando fummo finalmente da soli, attraversai la stanza e andai a sedermi sul pavimento accanto a Bella. Le presi le mani fra le mie e gliele accarezzai.

«Grazie, Jake. Così va meglio».

«Non ti mentirò, Bells. Sei orrenda».

«Lo so», sospirò. «Faccio paura».

«Già, sembri il mostro della palude».

Riuscì a ridere. «Che bello che sei qui. Questa risata mi fa quasi sentire bene. Non so per quanto tempo ancora riuscirò a sopportare la tensione».

Alzai gli occhi al cielo.

«Okay, okay», si affrettò. «Sono io la causa del mio male».

«Sì, è così. Cosa ti passa per la testa, Bells? Seriamente!».

«Ti ha chiesto lui di sgridarmi?».

«In un certo senso. Anche se non capisco perché crede che mi darai ascolto, visto che non l’hai mai fatto».

Sospirò.

«Te l’avevo detto...», cominciai.

«Lo sai che Te l’avevo detto ha un fratello, Jacob?», m’interruppe. «Si chiama Chiudi il becco».

«Buona questa».

Mi sorrise. Attraverso la pelle tesissima si vedeva nitido il profilo delle ossa. «Non è farina del mio sacco... L’ho sentita in una vecchia puntata dei Simpson».

«Me la sono persa».

«Peccato, era molto divertente».

Restammo in silenzio per un momento. Le sue mani cominciavano a riscaldarsi.

«Davvero ti ha chiesto di parlarmi?».

Annuii. «Mi ha chiesto di farti ragionare. Una battaglia persa in partenza».

«Allora perché hai acconsentito?».

Non risposi. Non lo sapevo con esattezza.

Sapevo solo una cosa, ossia che ogni secondo trascorso con lei non faceva altro che accrescere il dolore che avrei provato dopo. Come un tossico che dispone di una scorta limitata, vedevo approssimarsi il momento della resa dei conti, quello dell’astinenza. Più mi facevo, più sarebbe stata dura quando la roba avesse cominciato a scarseggiare.

«Andrà tutto bene», disse dopo un istante di silenzio. «Ne sono sicura».

Mi fece vedere di nuovo rosso. «La demenza è uno dei sintomi?», la provocai.

Rise ancora, ma ero così arrabbiato che mi tremavano le mani.

«Forse», rispose. «Non dico che sarà facile, Jake. Ma dopo tutto quello che ho passato, è naturale che io creda alla magia, no?».

«Magia?».

«Specialmente riguardo a te», aggiunse. Sorrise. Sfilò una mano dalla mia presa e me la mise sulla guancia. Era più calda, ma al contatto con la mia pelle sembrava ancora fredda, come tutto, del resto. «Tu hai qualcosa di magico e vedrai che tutto andrà come deve anche per te».

«Ma di che parli?».

Continuava a sorridere. «Una volta Edward mi ha spiegato come funziona l’imprinting. Mi ha detto che somiglia al Sogno di una notte di mezza estate, a una magia. Troverai anche tu la persona giusta, Jacob, la persona che stai aspettando, e allora, forse, tutto quanto avrà un senso».

Se non fosse stata tanto fragile, mi sarei messo a sbraitare.

Ma, visto che lo era, mi limitai a brontolare rabbioso.

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