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La venuta di Jack Breton poteva offrire una soluzione facile e tranquilla. Kate e Jack potevano andarsene insieme; oppure, e quest’idea serpeggiò piacevolmente nel suo cervello, poteva togliersi di mezzo lui, piantandoli in asso. Poteva prelevare del denaro in banca e andarsene da qualche parte: in Europa, in Sudamerica, anche sulla Luna, se voleva. Buzz Silvera, nella sua ultima lettera dalla Florida, scriveva che avevano bisogno di un tecnico competente disposto a recarsi laggiù.

Breton giaceva nel suo caldo bozzolo elaborando pigramente il progetto, quando si rese conto in ritardo che non si trattava di una fantasia, che l’altro se stesso esisteva e lui avrebbe dovuto affrontarlo faccia a faccia per molti giorni a venire. Breton scese rabbrividendo dal letto, infilò la vestaglia e andò a far colazione.

Kate Breton tenne gli occhi chiusi finché John non fu uscito. Poi, senza alzarsi, mosse le gambe come se pedalasse, finché le coperte non formarono un mucchio disordinato in fondo al letto; e lei rimase nuda, bianca come il soffitto della camera. Rimase immobile per qualche istante, chiedendosi se John era in bagno o giù al pianterreno. Avrebbe potuto rientrare da un momento all’altro e l’avrebbe scoperta così, volutamente nuda. Ma non sarebbe successo niente. ("Antropologicamente parlando, tu non sei a posto” le aveva detto pensoso, un mese prima. “La femmina è caratterizzata da sporgenze coniche, e le tue sono cilindriche.")

“Jack Breton non avrebbe mai detto una cosa simile” pensò Kate, ricordando la figura sottile, trasandata, con gli occhi di uno Swinburne dei nostri tempi. Quell’uomo emanava un’intensità di sentimenti che, sebbene lei si sforzasse di mantenere un distacco mentale, cominciavano a ridestarle intimamente un’attrazione invadente e irrefrenabile. Jack Breton era l’archetipo dell’eroe romantico, che sacrifica la propria vita per raggiungere un ideale impossibile. E, dietro quella faccia segnata dal dolore, c’era “qualcosa” che lo aveva spinto a sfidare e dominare il tempo, per amore di lei, Kate Breton. “Sono unica” pensò, con gratitudine.

Il senso di eccitazione provocato del suo egocentrismo, simile a un ciclone emotivo, aumentava sempre più, provocandole lunghi brividi giù per la schiena. Kate si alzò e rimase a lungo a guardarsi nello specchio.

Jack Breton, vestito col suo abito grigio da mattina, era alla finestra della stanza degli ospiti. Il mondo del Tempo B. Si rese conto che dovevano esserci delle differenze visibili nelle due correnti temporali, oltre a quella, essenziale, dell’esistenza di Kate. In questo mondo, un assassino psicopatico era stato ucciso in circostanze strane, che dovevano certamente aver alterato alcune cose, specie per quanto riguardava le probabili vittime future che non ci sarebbero state più. C’era anche il fatto che nel mondo del Tempo B l’azienda di consulenza tecnica di Breton aveva prosperato nelle mani di John, offrendogli l’opportunità di influenzare gli eventi in modo forse a volte significativo. Jack prese mentalmente nota di cercare e rammentare quelle differente per abituarcisi, in modo da poter prendere il posto di John Breton, senza che capitassero guai.

Guardò le sagome scure dei faggi nel giardino sul retro della casa, mentre pensava al modo di sbarazzarsi del cadavere. A parte il problema puramente materiale, doveva tener conto di una questione più delicata: la reazione di Kate. Se lei avesse sospettato, sia pure per un attimo, che lui aveva ucciso John, sarebbe stata la fine. Doveva riuscire a persuaderla che John aveva volontariamente deciso di scomparire dalla sua vita e, se questo progetto non fosse andato in porto, bisognava disporre le cose in modo da farle credere che era morto in un incidente.

Gli occhi di Jack si posarono sulla piccola cupola argentea visibile al di là del filare di faggi. Dunque, John ce l’aveva fatta a costruire un osservatorio in giardino, cosa che lui aveva sempre desiderato, senza mai riuscirci. L’altro se stesso invece aveva raggiunto lo scopo; aveva vissuto con Kate e aveva fatto tante cose.

In preda a un senso di freddo e di desolazione, Jack Breton rimase ancora un poco davanti alla finestra, fin quando non sentì qualcuno muoversi per casa. Arrivava anche un leggero profumo di caffè e di pancetta fritta. Uscì, e scese in cucina. Sebbene fosse ancora molto presto, Kate era già vestita di tutto punto, con una maglietta color nocciola e una sottana bianca. Quando Jack entrò, stava deponendo dei piatti sul tavolo di cucina. La sua vista gli bloccò il cuore, che poi si mise a battere a colpi violenti, spasmodici.

— Buongiorno, Kate — disse. — Posso esserti utile in qualche cosa?

— Oh… salve. No, grazie. — Lui si accorse che una chiazza rosa le si era accesa sugli zigomi.

— Ma non dovresti sprecare il tempo nei lavori di casa — le disse con scherzosa galanteria.

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