— È proprio quello che stavo dicendo! Anch’io sono una vittima della “hemicrania sine dolore". In questi ultimi nove anni ho visto per dozzine e dozzine di volte i prismi luminosi e ho fatto dozzine di viaggi… sempre sulla scena della lite, perché sapevo che tutto ha avuto inizio da quel punto, Là io sono stato colpevole, ma tu non puoi deciderti ad affrontare la cosa. Ci hai detto di essere riuscito ad accettarla, allora, per un certo periodo, poi, come ci hai raccontato quando sei arrivato a casa, ti sei concentrato unicamente sulla scena del delitto. Hai cominciato a vedere gli alberi del parco che si proiettavano sulle corsie del traffico. E questo perché quella scena esercitava una potente attrazione su di te. C’era Spiedel, il punto debole a portata di mano su cui trasferire la tua colpa, c’era un momento di grave pericolo per Kate… e non c’era tempo di soppesare il bene e il male. Solo il tempo di uccidere…
— Hai torto — sussurrò Jack. — Guarda le cose in faccia, è la tua unica possibilità. Allora io e te eravamo una sola persona, e so perfettamente che cosa ti passava per la testa. Tu “volevi” che Kate morisse. Quando Convery bussò per la prima volta alla porta, la voce interiore che ti gridava che eri finalmente libero era la stessa che sentivo io. E in fondo non c’è niente di terribile in questo… — Gli occhi di John tornarono a chiudersi e la sua voce si affievolì. — … Non si può amare una donna senza aver voglia di ucciderla, qualche volta… Lei non può essere sempre come la vorresti tu… Qualche volta vuole essere se stessa… tutto sta a sapersi adattare… bisogna sapersi adattare… — John Breton si addormentò, con la faccia tumefatta schiacciata contro il pavimento.
— Pazzo! — mormorò Jack. — Tu sei un povero pazzo!
Risalì la scala e si soffermò con la mano sull’interruttore, per controllare un’ultima volta se John era legato bene. Appena riprendeva i sensi, avrebbe avuto la possibilità di muoversi nella parte centrale della cantina, ma non sarebbe potuto arrivare a prendere gli attrezzi con cui liberarsi. John Breton sarebbe stato scomodissimo, pensò Jack con un certo rimorso; sapeva tuttavia che non sarebbe stata una cosa lunga. Spense la luce e uscì, chiudendo a chiave la porta del capanno.
Intanto era calata la sera, ma il cielo era pieno di luce. Verso nord, stavano sospese sopra l’orizzonte spettrali cortine luminose rosse e verdi che stendevano le loro pieghe scintillanti attraverso il cielo, torcendosi e dispiegandosi sotto la spinta dei terribili venti solari. L’aurora boreale era talmente vivida da offuscare le stelle del nord. Nel resto del cielo brillavano le consuete costellazioni, ma anch’esse offuscate in splendore dall’imponente e silenzioso spettacolo pirotecnico delle meteore. La pace notturna era rotta dal bombardamento di fuoco di un gigante pazzo. Dietro lo schermo dell’atmosfera, i tracciati delle stelle cadenti si intersecavano di continuo in tutte le direzioni con un ritmo disuguale, accentuati a tratti da proiettili più luminosi che attraversavano l’orizzonte disegnando parabole incredibili.
Quella scena fantastica si rifletteva nelle acque del lago, la cui superficie pareva trasformata in uno specchio in ebollizione.
Breton la osservò per un attimo senza vederla, poi salì in macchina. La sua mano sfiorò un oggetto liscio e scuro, posato sul sedile di fianco al suo. Era la scarpa di John; quella stessa su cui si era soffermata alcune ore prima l’attenzione del tenente Convery. Jack aprì il finestrino e la scagliò in direzione del lago ma il tiro era troppo corto e la scarpa cadde in mezzo ai sassi, sulla riva. Jack scrollò le spalle e avviò il motore, facendo compiere all’auto un ampio semicerchio che sollevò nugoli di ciottoli.
Mentre si dirigeva verso sud, sull’autostrada di Silverstream, si ritrovò a sbirciare di continuo nello specchietto con la sensazione di essere seguito, anche se dietro di lui non c’era altro che il pulsante scintillio dell’aurora boreale.
13
Breton tirò un sospiro di sollievo quando vide la casa ancora avvolta nell’oscurità.
Mise la macchina in garage, ed entrò dalla porta posteriore. Un’occhiata all’orologio gli mostrò che era stato assente meno di tre ore… anche se a lui erano sembrate molte di più. Attraversando l’anticamera vide la bottiglietta di sonnifero: la prese, e la riportò in bagno.
Guardandosi nello specchio, trasalì. Aveva la faccia stanca, la barba lunga, i vestiti spiegazzati e macchiati di polvere. Si guardò intorno e fu soddisfatto di trovare, oltre all’impianto della doccia, anche un’ampia vasca. Mentre l’acqua calda scendeva a scroscio dal rubinetto, Jack frugò negli armadi e prese un cambio di biancheria pulita, una morbida camicia verde scuro e un paio di calzoni appartenenti a John Breton. Portò tutto nel bagno, chiuse a chiave la porta e si accinse a fare il bagno più caldo di cui avesse memoria. Mezz’ora dopo, ripulito, rasato, e con indosso abiti freschi, si sentiva molto meglio.