Anawak annuì, cupo. Nel 1993, l'UNESCO aveva dichiarato la laguna di San Ignacio patrimonio naturale dell'umanità. Era l'ultimo luogo ancora intatto del Pacifico in cui si riproducevano le balene grigie e altre specie di animali e vegetali sull'orlo dell'estinzione. A dispetto di tutto ciò, la Mitsubishi aveva costruito un impianto di desalinizzazione. In futuro avrebbe pompato dalla laguna ventimila litri d'acqua al secondo, che sarebbero rifluiti in piscine di essiccazione grandi più di cento miglia quadrate. L'acqua sarebbe rientrata nella laguna come acqua di scarico. Nessuno sapeva quale effetto avrebbe avuto sulle balene. Moltissimi ricercatori, attivisti e premi Nobel avevano protestato contro l'impianto, che minacciava di diventare un pericoloso precedente.
«Vedi, questo è il mondo delle balene come tu lo conosci», continuò Frank. «Esse ci vivono dentro, ma questo mondo è solo una catena di circostanze con cui le balene possono sentirsi a proprio agio oppure no. Forse il problema non sono le balene, Leon. Forse le balene sono soltanto la parte del problema che ci è concesso vedere.»
Acquario di Vancouver
Mentre Anawak ascoltava le parole del
Doveva controllare due monitor, e lo stava facendo da ore. Il primo mostrava le immagini del nastro magnetico su cui erano raccolte le riprese effettuate dall'URA di Lucy e delle altre balene grigie; il secondo mostrava uno spazio virtuale, una struttura di coordinate a linee in cui brillavano dozzine di luci verdi. Indicavano il banco e cambiavano continuamente posizione. Immediatamente dopo il suo ammaraggio, il robot era riuscito a stabilire un rapporto tra il disegno delle pinne caudali di Lucy e gli specifici suoni che la balena emetteva, per poter localizzare l'animale e determinare la sua posizione, che ora appariva come un punto nello spazio delle coordinate. Non avrebbe perso Lucy neppure nelle tenebre più profonde.
Sul secondo monitor scorrevano anche i dati della sonda ancora infilata nel grasso della balena: frequenza cardiaca, profondità d'immersione, dati di posizione, temperatura e misura della pressione. La sonda e l'URA offrivano un quadro completo di quello che era successo a Lucy nelle ultime ventiquattr'ore. Ventiquattr'ore nella vita di una balena impazzita.
All'interpretazione dei dati, nel laboratorio, lavoravano quattro persone. Ford e due aiutanti erano seduti nella penombra, i visi illuminati dai monitor. Il quarto posto era vuoto. Un innocuo virus gastrico aveva ridotto il team e l'aveva costretto a un turno di notte.
Senza togliere gli occhi dal monitor, Ford si allungò di lato e s'infilò in bocca una manciata di patate fritte ormai fredde, prendendole da una contenitore di cartone.
Lucy non sembrava pazza.
Nelle ore precedenti, aveva fatto quello che di solito facevano le balene quando vagavano nell'oceano. Aveva mangiato in compagnia di una dozzina di suoi simili adulti e di due ancora giovani. Ogni volta che, tra cortine di alghe, andava sul fondo e smuoveva il limo sabbioso per filtrare vermi e granchi sollevava gigantesche masse di fango. Si era girata su un fianco e, con la sottile testa arcuata, aveva scavato veri e propri solchi. All'inizio, Ford era rimasto affascinato a guardare il monitor, benché non fosse la prima volta che vedeva riprese di balene grigie intente a mangiare. Tuttavia l'URA forniva immagini totalmente nuove, perché seguiva le balene come se facesse parte del branco. Molte balene si riconoscevano chiaramente. Per vedere un capodoglio mangiare era necessario scendere negli abissi, ma le balene grigie preferivano le acque più basse. Così, ormai da ore, Ford osservava quelle immagini, in cui si alternavano continuamente luce e semioscurità. Per qualche minuto, Lucy riemerse in superficie, spinse il fango attraverso i fanoni, aspirò l'aria a pieni polmoni, la buttò fuori e s'immerse. Era sempre stata abbastanza vicina alla riva, tanto che la maggior parte delle riprese non era stata fatta a più di trenta metri di profondità.
Ford guardava i corpi marmorizzati e coperti di cicatrici strisciare tra i sedimenti. L'acqua s'intorbidiva. Il robot non aveva difficoltà a seguire gli animali, perché essi rimanevano in zona. Cambiavano continuamente direzione, qualche metro da una parte, un breve tratto dall'altra, emergevano, s'immergevano, mangiavano, emergevano, s'immergevano. Ford diceva spesso che Vancouver Island era un autogrill in cui le balene gironzolavano pigramente. E in effetti la definizione era azzeccata. Emergere, immergersi, mangiare.
Ford cominciava ad annoiarsi.