«In ogni caso, gli incidenti di grandi navi sono in misura nettamente superiore alla media», disse Alicia. «Collisioni, esplosioni, affondamenti. E sapete cos'altro c'è di molto strano? L'epidemia in Francia. È stata provocata da alghe negli astici. Si sta diffondendo in un baleno un agente patogeno che non si riesce a controllare. Credo siano colpiti anche altri Paesi, ma più si ricerca, più il quadro si fa sfumato.»
Di quando in quando, Anawak si stropicciava gli occhi, pensando che il rischio di rendersi ridicoli era in agguato. Sembrava proprio che si stessero abbeverando a una delle fonti predilette della fantasia americana: la teoria del complotto. Negli Stati Uniti, una persona su quattro era convinta delle più assurde fantasticherie. C'erano teorie secondo cui Bill Clinton era un agente russo e tantissime persone s'interessavano agli UFO. Pura follia. Che interesse poteva avere una nazione a nascondere avvenimenti che colpivano migliaia di persone? Senza contare che non era facile tenere segreti avvenimenti di quel genere.
«Ora fate attenzione», disse Alicia. «Tofino ha milleduecento abitanti ed è formata di fatto da tre strade. Eppure è impossibile che si sappia sempre tutto di tutti. Giusto?»
«E allora?»
«Qualsiasi località è troppo grande perché si possa sapere tutto di tutti. A maggior ragione un intero pianeta.»
«Verità evidente. La mente dell'uomo è un secchio che trabocca in fretta.»
«Un governo non può bloccare le notizie, ma può sminuirne la portata. Ti preoccupi perché l'informazione è scarsa. In realtà le informazioni ci sono, ma la maggior parte circola solo nel Paese in cui si sono svolti i fatti e quel poco che arriva all'esterno è sempre presentato come notizia secondaria. Verosimilmente, tutto quello che ho trovato su Internet era apparso sui giornali e nelle televisioni locali. Noi semplicemente non l'abbiamo saputo.»
Shoemaker socchiuse le palpebre. «È davvero così?» disse, incerto.
«Come sempre, abbiamo bisogno di maggiori informazioni», affermò Anawak. Smosse bruscamente le uova strapazzate e le fece uscire dal piatto. «Cioè, alcune le abbiamo. Le altre le ha Judith Li. Sono certo che ne sa ben più di noi.»
«Allora chiedi a lei», propose Shoemaker.
Anawak sollevò le sopracciglia. «A Judith Li?»
«Perché no? Se vuoi sapere, chiedi. Al massimo riceverai un no e qualcosa detto tra i denti, ma non staresti peggio di come stai ora.»
Anawak rimuginò in silenzio. Non avrebbe ottenuto la minima informazione. Non le otteneva neppure Ford, che pure continuava a tempestare di domande Judith Li. D'altra parte, l'idea di Shoemaker non era così stupida. Si potevano anche fare domande senza che l'interlocutore se ne rendesse conto.
Forse era proprio arrivato il momento di prendersi le risposte.
Più tardi, quando Shoemaker se ne fu andato, Alicia mise sul tavolo, davanti ad Anawak, una copia del
Anawak gettò un'occhiata alla prima pagina. Era il numero del giorno precedente. «L'ho letto.»
«Tutto?»
«No, solo l'essenziale.»
Alicia sorrise. Negli ultimi giorni, Anawak non aveva dimostrato né cortesia né riguardi nei suoi confronti — per non parlare del suo costante cattivo umore -, eppure lei era stata davvero gentile. Dalla loro conversazione nella stazione, non aveva più toccato l'argomento delle sue origini. «Allora leggi quello che non è essenziale.»
Anawak sfogliò il giornale e comprese immediatamente quello che Alicia intendeva. Era un breve articolo: poche righe corredate dalla fotografia di una famiglia felice, padre, madre e un bambino, che guardava con riconoscenza un uomo molto alto. Il padre stringeva la mano all'uomo e tutti sorridevano all'obiettivo.
«Incredibile.»
«Puoi pensare quello che vuoi», disse Alicia. I suoi occhi scintillavano. Quel giorno i suoi occhiali avevano lenti gialle e la montatura era decorata da croci di Strass. «Ma non sembra un gran bastardo.»
Il piccolo Bill Sheckley (cinque anni), che lo scorso 11 aprile è stato salvato per ultimo dalla nave da diporto
Anawak chiuse il giornale e lo buttò sul tavolo. «Shoemaker sarebbe uscito dai gangheri», disse.