I calcoli matematici sono una brutta bestia. Le medie statistiche, su cui si basa la progettazione delle costruzioni marine, partono da affermazioni ideali e non dalla realtà. Il concetto di logoramento medio può essere valido negli uffici e nelle teste dei costruttori, ma la natura non conosce le medie e non si attiene alle statistiche. La natura è fatta di una successione incalcolabile di situazioni momentanee ed estreme. Forse, in certe acque, si possono rilevare onde alte mediamente dieci metri, ma, se s'incappa in un esemplare di trenta metri, che statisticamente non esiste, il valore medio non porta nessun aiuto. E si muore.
Lo tsunami spazzò via il paesaggio di torri d'acciaio, superando in un attimo il loro limite di logoramento. I piloni si ruppero, le saldature si spezzarono, le costruzioni sopracoperta si ribaltarono. Soprattutto nella parte inglese, dove prevalevano i ponteggi a tubi d'acciaio, la forza d'urto dell'onda distrusse quasi tutte le costruzioni o le danneggiò gravemente.
Da anni la Norvegia era specializzata nei piloni di cemento armato e lì lo tsunami trovò meno punti deboli. Tuttavia il disastro non fu meno devastante, perché le onde spararono proiettili giganteschi contro le torri di estrazione: le navi.
Teoricamente, la maggior parte delle navi non poteva reggere onde di più di venti metri d'altezza. Secondo le statistiche, gli scafi sopportavano al massimo onde di 16,5 metri. La realtà però era diversa. A metà degli anni '90, onde anomale abbattutesi sulla Scozia avevano procurato un buco grande come una casa nella petroliera
In genere, però, delle navi che facevano simili incontri non si sapeva più nulla. La più subdola delle onde giganti era il cosiddetto «buco nell'oceano». Il fronte dell'onda formava una sorta di profonda voragine in cui la nave finiva di prua o di poppa. Se le onde si trovavano a una certa distanza, in genere c'era tempo sufficiente per risalire e scalare il dorso dell'onda successiva. Se erano serrate, la situazione cambiava. La nave cadeva nella voragine e l'onda seguente, troppo vicina, la inghiottiva, facendola sprofondare sotto un muro d'acqua. E se anche la nave fosse riuscita a riemergere dalla voragine, cominciando a risalire, si poteva solo sperare che l'onda non fosse troppo alta o troppo verticale. In genere, però, lo era. Allora si cercava di fare l'impossibile, cioè di risalire un piano verticale. Normalmente erano le navi più piccole a sprofondare, quelle che avevano una lunghezza inferiore all'altezza dell'onda, ma spesso neppure i giganti dell'oceano ce la facevano. Venivano rovesciate e cadevano a testa in giù.
Simili onde giganti, che nascevano dall'azione combinata di vento e correnti, procedevano a una velocità di cinquanta chilometri all'ora, raramente maggiore. E comunque erano sufficienti a provocare catastrofi. Ma erano una cosa da niente rispetto allo tsunami che in quel momento imperversava sullo zoccolo continentale.
Quasi tutti i rimorchiatori, le petroliere e i traghetti che ebbero la sfortuna di trovarsi sul mare del Nord furono spazzati via come giocattoli. Alcuni si sfasciarono, altri entrarono in collisione coi pilastri di cemento delle piattaforme o con le boe di carico cui erano ancorati. Neppure i pilastri di cemento armato ressero a quell'impatto. Molti colossi crollarono e quelli che non erano crollati furono distrutti dagli incendi, innescati dalle esplosioni delle navi cariche di combustibile che si schiantavano contro i piloni. Tutte le torri di perforazione esplosero, in una reazione a catena. Macerie in fiamme vennero scagliate a centinaia di metri di distanza. Lo tsunami strappò le piattaforme ancorate dal fondale marino e le rovesciò. E tutto ciò accadde soltanto qualche minuto dopo che l'onda circolare si era staccata dal suo epicentro, spostandosi a grande velocità verso le coste e le masse continentali.
Ognuno di quegli avvenimenti era l'incubo per antonomasia dei viaggi in mare e dell'industria offshore. Ma ciò che stava succedendo quel pomeriggio sul mare del Nord era molto più di un incubo diventato realtà.
Era l'Apocalisse.
La costa
Otto minuti dopo il crollo dello zoccolo continentale, lo tsunami aveva colpito le scogliere delle isole Fær Øer, quattro minuti dopo aveva raggiunto le Shetland e due minuti dopo si schiantava contro la terraferma scozzese e contro la costa sudoccidentale della Norvegia.