Guardò l'orologio. Se fosse partita subito, sarebbe arrivata puntuale al Fiskehuset.
Non era necessario andare di corsa al Fiskehuset.
I due vecchi esigevano un abbraccio. Lei era la compagna giusta per Kare, giuravano, una donna che non disdegnava la buona acquavite. Dopo una serie di complimenti, battute e buoni consigli, Tina venne finalmente accompagnata fuori dalla cantina da uno dei fratelli. Il vecchio le aprì la porta, guardò la violenta pioggia che cadeva di traverso e decise che lei non poteva uscire senza ombrello. Tina si sforzò di spiegargli che non lo usava mai, perché il suo lavoro prevedeva di stare all'aperto con ogni clima, ma fu come parlare al muro. Così lui andò a prendere l'ombrello. Dopo un ultimo abbraccio, Tina riuscì ad allontanarsi e prese a camminare nella pioggia, con l'ombrello chiuso.
Il cielo era diventato ancora più nero e il vento soffiava con violenza crescente. Accelerò il passo. Non aveva appena deciso di prendersi un po' di tempo?
E allora? Lei era fatta così e adesso voleva raggiungere l'uomo che aveva deciso di amare.
Da qualche parte si sentiva un debole suono. Si fermò. Era il suo cellulare!
«Tina?»
Sobbalzò. «Sigur. Oh, è… Sei gentile a chiamarmi, io…»
«Dov'eri, maledizione? È un sacco di tempo che cerco di raggiungerti!»
«Mi dispiace, io…»
«Dove sei?»
«A Sveggesundet», replicò lei, esitante. La voce di Johanson era distorta; evidentemente stava parlando in mezzo a un fortissimo rimbombo, ma c'era anche dell'altro. Un tono di voce che lei non aveva mai sentito e che le faceva paura. «Sono lungo la spiaggia, c'è un tempaccio, ma mi conosci…»
«Vattene!»
«Come?»
«Devi andartene subito!»
«Sigur! Ma sei matto?»
«Adesso, subito!» Johanson ansimava. Le parole crepitavano contro di lei come la pioggia, sempre più distorte da fruscii e scariche, al punto che pensò di non aver capito. Poi improvvisamente comprese quello che le stava dicendo e, per un attimo, le sembrò che le gambe fossero diventate di gomma.
«Non so dov'è l'epicentro!» urlò Johanson. «Evidentemente l'onda ci mette di più per arrivare da voi, ma è lo stesso, non ti resta altro tempo. Vattene, perdio, vattene subito!»
Lei fissò il mare.
La tempesta infuriava.
«Tina?» urlò Johanson.
«Io… okay.» Lei inspirò profondamente, riempiendo i polmoni. «Okay, okay!»
Poi gettò via l'ombrello e cominciò a correre.
Attraverso la pioggia riusciva a vedere le luci gialle e invitanti del ristorante.
Un rumore si mischiava all'ululato del vento e al ruggito delle onde. Una specie di risucchio. Senza smettere di correre, Tina si voltò.
E vide una cosa inimmaginabile.
Incespicò e poi non poté far altro che fermarsi a guardare il mare che stava sparendo, come se qualcuno avesse tolto il tappo a una vasca gigantesca. Quindi comparve un fondo nero, frastagliato.
Il mare si stava ritraendo, velocissimo.
Fu allora che sentì il rimbombo.