L'eliporto apparteneva a una stazione di osservazione marina che ospitava una mezza dozzina di scienziati. Ma forse era esagerato definire «eliporto» uno spiazzo di pietrisco più o meno rotondo in mezzo a una distesa grigio-verde. La stazione era poco più di un insieme di baracche sghembe. Una strada stretta scendeva dalla collina e finiva in un molo. Johanson non vide neanche una barca. Vicino alle baracche c'erano due fuoristrada e un furgoncino Volkswagen arrugginito. Karen Weaver si trovava là perché stava scrivendo un articolo sulle foche. Usciva in mare con gli scienziati, s'immergeva con loro e abitava con loro nelle baracche.
Un'ultima raffica di vento scosse il Bell, poi finalmente l'elicottero si posò a terra.
«Grazie a Dio ce l'abbiamo fatta», sospirò il pilota.
Al margine del campo d'atterraggio, Johanson scorse una figurina, i cui capelli svolazzavano al vento. Pensò che fosse Karen Weaver e rifletté che gli piaceva come lo stava aspettando lì, in quella landa desolata. Non lontano dalla donna c'era una motocicletta sul cavalletto. Tutto di suo gusto. Un'isola fuori dal tempo e una figura solitaria… Si stiracchiò, rimise nella borsa il libro delle poesie di Whitman e prese il cappotto.
«Per quanto mi riguarda, potremmo farci un altro volo», disse. «Però mi dispiacerebbe far aspettare la signora.»
Il pilota si girò verso Johanson e aggrottò la fronte. «Sta solo recitando la parte del duro o non si è davvero accorto di quello che è successo?»
Johanson cercava d'infilarsi le maniche del cappotto. «Questo dovrà scoprirlo da solo. Lei ha di certo esperienza coi membri dei consigli d'amministrazione.»
«Sì, certo»
«E allora? Sono un duro?»
«Non lo so. Forse sta solo bluffando. La maggior parte di quelli con cui sono stato in viaggio mi avrebbe assordato con le urla.»
«Anche Skaugen?»
«Skaugen?» Il pilota rifletté per un attimo. «No. Credo che nulla possa impressionare Skaugen.»
«Nessun problema.»
Attese finché il portellone non si aprì, poi scese la scaletta. Era un duro? Nel suo intimo era contento di rimettere i piedi sulla terra. Il pilota doveva ripartire, ma evidentemente non lo considerava un problema perché era abituato ai repentini cambiamenti delle condizioni meteorologiche. Si sarebbe concesso solo una breve pausa e poi sarebbe ripartito per Lerwick, dove avrebbe fatto rifornimento. Johanson si mise in spalla la borsa da viaggio e si avviò verso la figura in attesa. Il cappotto si gonfiava e gli si avvolgeva intorno alle gambe, ma almeno non pioveva.
Karen Weaver gli andò incontro.
Curiosamente, a ogni passo sembrava diventare più piccola. Quando finalmente gli fu davanti, lui valutò che doveva essere alta un metro e sessantacinque. Aveva una corporatura solida: i jeans si tendevano sulle gambe muscolose e, sotto la giacca di pelle, si delineavano larghe spalle. Per quello che Johanson poteva vedere, non era truccata. Però sembrava attraente. L'abbronzatura era dovuta alla vita all'aperto, era frutto del sole cocente… Lo stesso sole che aveva fatto emergere anche le numerose lentiggini, distribuite sugli ampi zigomi e sulla fronte. Il vento smuoveva una cascata di riccioli castani.
Lei lo fissò, interessata. «Lei è Sigur Johanson», esordì con sicurezza. «Com'è stato il volo?»
«Orribile. Mi sono dovuto aggrappare alla rassicurante compagnia di Walt Whitman.» Guardò verso l'elicottero. «Ma il pilota sostiene che sono un duro.»
Lei sorrise. «Vuole mangiare qualcosa?»
Lei fece un cenno col capo verso la motocicletta. «Potremmo andare al villaggio vicino. Se ha sopportato il volo, dovrebbe reggere anche alla Harley. Alla stazione faremmo prima, ma solo nel caso in cui lei abbia una predilezione per il manzo sotto sale e la zuppa di piselli in scatola.»
Johanson la guardò e si accorse che i suoi occhi erano di un insolito blu intenso. Il blu del mare profondo. «Perché no?» disse. «Gli scienziati sono in mare?»
«No, è troppo mosso. Sono al villaggio per fare provviste. Qui sono libera, anche se il massimo della mia arte culinaria è aprire una scatoletta. Venga.»
Johanson la seguì sullo spiazzo sassoso dell'eliporto verso la stazione. L'edificio non appariva così sghembo come gli era sembrato visto dall'alto. «Dove sono le barche?» chiese.
«Preferiamo non lasciarle fuori», spiegò Karen, indicando la baracca più vicina all'acqua. «L'insenatura non è molto protetta, perciò, dopo averle usate, le riportiamo nella baracca vicina al mare.»
Il mare…
Dov'era il mare?