Lo tsunami generato dallo smottamento viaggiò all'inizio in tutte le direzioni a una velocità che toccava i settecento chilometri all'ora, con creste molto lunghe e basse. Soltanto la prima ondata trasportò un milione di tonnellate d'acqua e una corrispondente quantità d'energia. Dopo pochi minuti, raggiunse il margine della piattaforma continentale. Il fondale marino, divenuto più pianeggiante, frenò l'onda e ne rallentò il fronte, senza però ridurre l'energia trasportata. Le masse d'acqua continuarono a spingersi in avanti e, dato che la velocità era diminuita, cominciarono ad accavallarsi. Più il fondale diventava basso, più lo tsunami si alzava, mentre la lunghezza delle sue onde si restringeva drammaticamente. Sulle loro creste cavalcavano le onde della tempesta. Allorché lo tsunami raggiunse le prime piattaforme di trivellazione sullo zoccolo continentale del mare del Nord, la velocità era scesa a quattrocento chilometri all'ora, ma esso era già diventato alto quindici metri.
Quindici metri non erano un'altezza tale da preoccupare eccessivamente le piattaforme. Almeno finché si trattava di normali onde di tempesta.
Ma le ondate che si propagavano dal fondale marino fino alla superficie dell'acqua, accompagnate da una montagna d'acqua alta quindici metri, avevano l'effetto d'urto di un jumbo jet.
Gullfaks C, zoccolo continentale norvegese
Per un momento, Lars Jörensen pensò addirittura di essere troppo vecchio per trascorrere gli ultimi mesi sulla Gullfaks C. Tremava. Che cos'era successo? Tremava con tale intensità che ogni cosa sembrava tremare con lui. Non riusciva a spiegarsi il perché. Non si sentiva male. Forse era depresso, ma non malato. Cominciava così un attacco di cuore?
Poi si accorse che era la piattaforma a tremare, non lui.
La Gullfaks C tremava.
Rendersene conto fu uno shock.
Fissò la torre di perforazione e poi il mare aperto. Sotto, infuriava la tempesta, ma lui ne aveva viste di peggiori e non avevano mai fatto tremare la piattaforma. Quel tremito Jörensen lo conosceva solo dai racconti: quando si sbagliava a fare una perforazione e si creava un blowout, che spingeva gas o petrolio ad alta pressione verso l'alto, allora poteva succedere che tutta la piattaforma vibrasse violentemente. Ma sulla Gullfaks una cosa del genere era impossibile. Il petrolio veniva pompato da giacimenti semivuoti in cisterne sottomarine, e ciò non avveniva sotto la piattaforma, bensì a una certa distanza.
Nel lavoro offshore esisteva una sorta di top ten delle potenziali catastrofi. Gli scheletri d'acciaio su cui poggiava la maggior parte delle piattaforme potevano cedere. Le
Ma i maremoti erano l'incubo per antonomasia.
Jörensen lo capì. Quello era proprio un maremoto.
Poteva succedere qualsiasi cosa. Se la terra tremava, si perdeva ogni controllo. Il materiale si deformava e si strappava. C'erano fughe e incendi. Se un terremoto faceva vibrare una piattaforma, si poteva soltanto sperare che non succedesse di peggio, che il fondale marino non sprofondasse e non franasse, che le costruzioni ancorate reggessero al colpo. Ma subito dopo la scossa c'era un altro problema contro cui non c'era nulla da fare, proprio nulla.
E quel problema stava raggiungendo la piattaforma.
Jörensen lo vide avvicinarsi e comprese che non c'erano più speranze. Si girò per scendere di corsa le scale d'acciaio e fuggire dalla zona esposta ai venti.
Accadde tutto in fretta.