In quella situazione, Alban doveva soppesare molti fattori contrastanti. La sicurezza della
Alban fissò il cielo nero e si asciugò la pioggia dal volto. Nello stesso momento, il mare sconvolto si calmò per qualche istante. Lui sapeva che si trattava soltanto di una tregua, che la tempesta sarebbe poi ripresa con furia raddoppiata.
E decise di restare.
Sotto di lui era in corso un disastro.
Improvvisamente gli idrati decomposti — fino a poco prima stabili estensioni di ghiaccio che s'infiltravano nei sedimenti, ora trasformati da vermi e batteri in un ammasso di rovine — crollarono su loro stessi. Per un tratto di centocinquanta chilometri, il legame ghiacciato di acqua e metano si trasformò in un'esplosione di gas. Mentre Alban decideva di mantenere la posizione, il gas si apriva la strada verso la libertà, faceva saltare pareti verticali, strappava pezzi di roccia, faceva tremare la scarpata continentale. E la fece precipitare. Nel giro di qualche secondo, chilometri cubi di detriti crollarono. Tutta la parte superiore del bordo continentale si mise in movimento, mentre, più in basso, gli strati collassavano e crollavano. In una mostruosa reazione a catena, le masse scivolarono l'una sull'altra, sfondarono le ultime strutture ancora solide e le trasformarono in fango.
La piattaforma continentale tra Scozia e Norvegia, con le sue pompe, i suoi oleodotti e le sue piattaforme mostrò le prime fenditure.
In mezzo alla tempesta, qualcuno gridò verso Alban. Lui girò su se stesso e scorse il vice direttore scientifico che gesticolava freneticamente. Nella tempesta, le sue parole si comprendevano appena. «La scarpata!» Fu l'unica cosa che Alban riuscì a sentire.
Dopo la breve calma ingannatrice, il mare infuriava più che mai, incalzando la
«Venga, Alban! Mio Dio! Deve vedere.»
La nave vibrava. Dal fondo del mare saliva un cupo gorgoglio. Entrambi gli uomini avanzarono barcollando sulla stretta scala fino al ponte.
«Là!»
Alban fissò il monitor del sonar, che rilevava costantemente il fondale marino. Non credeva ai suoi occhi.
Il fondale non c'era più.
Era come guardare in un maelstrom.
«La scarpata sta scivolando.»
Nello stesso istante, Alban ebbe la conferma di quello che il suo istinto gli aveva suggerito: l'ingegnere pazzo e il pilota erano morti. «Dobbiamo andar via! Subito!»
Il timoniere si girò verso di lui. «E dove?»
Alban cercò di riflettere. Aveva la piena consapevolezza di quello che stava succedendo là sotto e sapeva cosa li aspettava. Correre verso un porto era escluso. Alla
«Che ne è di Stone e di…» iniziò il vice direttore.
Alban lo guardò. «Sono morti.» Non osava neppure immaginare la violenza dello smottamento. E quello che mostrava il sonar era sufficiente a farlo rabbrividire. Si trovavano ancora in una zona critica. Pochi chilometri all'interno dello zoccolo continentale e sarebbero affondati. Andando al largo, diretti verso il cuore della tempesta, probabilmente ne sarebbero usciti con le ossa rotte, ma si sarebbero salvati.
Alban pensò alla morfologia della scarpata. Da nord-ovest, il fondale digradava in ampie terrazze. Se avevano fortuna, la slavina si sarebbe fermata nelle zone superiori. Nel caso di un effetto Storegga, però, non si sarebbe più fermata. Tutta la scarpata continentale sarebbe scivolata negli abissi per una larghezza di centinaia di chilometri e fino a una profondità di oltre tremila metri. Le masse sarebbero penetrate sino al fondo abissale a est dell'Islanda e quindi avrebbero scosso il mar di Norvegia e il mare del Nord con violenza inaudita.
Dove dovevano andare?
Alban distolse lo sguardo dalla strumentazione.
«Rotta verso l'Islanda», disse.
Franarono milioni di tonnellate di fango e macerie.