Immediatamente, Stone riprese la ricerca del tasto per attivare la batteria d'emergenza. Il batiscafo saliva, tranquillo e regolare. Sentì un brivido di sollievo all'idea che tra poco sarebbe arrivato in superficie e si sarebbe lasciato alle spalle quell'incubo. Quando Eddie aveva sganciato l'involucro, non si era liberato delle telecamere. Che avessero ripreso anche quella cosa luminosa? Riuscivano a registrare un impulso così debole?
Doveva essere così. Non si era trattato di un'allucinazione. Stone rammentò le straordinarie riprese fatte da Victor. Quella cosa che improvvisamente era uscita dal cono di luce.
Ronzando, il sistema elettrico d'emergenza si mise in funzione. Per prima cosa si accesero le luci sulla console, poi i proiettori esterni. Da un momento all'altro, il Deep Rover si ritrovò a scivolare in un bozzolo di luce.
Eddie era disteso, immobile, con gli occhi aperti.
Stone si chinò su di lui, ma, improvvisamente, dietro Eddie, comparve qualcosa. Una nuvola rossastra. Si stava rovesciando sul batiscafo. Convinto di dover manovrare per non sbattere contro la parete, Stone afferrò i comandi.
Ma poi si rese conto che era il contrario. Era la parete che stava sbattendo contro di loro.
La scarpata continentale gli stava crollando addosso.
Fu l'ultima cosa che Stone comprese prima che la violenza dell'impatto mandasse in mille pezzi il vetro acrilico della sfera.
Elicottero Bell 430, mar di Norvegia
Quand'erano decollati da Trondheim, Johanson aveva previsto di fare un volo tranquillo. Invece si ballava e lui non riusciva a dedicarsi adeguatamente a Whitman. Nella mezz'ora precedente, il cielo era diventato minacciosamente nero. Sembrava così basso da dare l'impressione di voler schiacciare in mare l'elicottero, che era anche scosso da violente raffiche di vento.
Il pilota si voltò. «Tutto a posto?»
«Benissimo.» Johanson chiuse il libro e guardò fuori. La superficie del mare era coperta da una nebbia fittissima. Lui riusciva a malapena a distinguere qualche piattaforma o nave. Si rese conto che in quei minuti il moto ondoso era sensibilmente aumentato. Si stava avvicinando una violenta tempesta.
«Non si preoccupi», disse il pilota. «Non abbiamo nulla da temere.»
«Non mi preoccupo. Cosa dice il servizio meteorologico?»
«Che ci sarà vento.» Il pilota lanciò un'occhiata al barometro sulla console di comando. «A quanto pare, avremo un piccolo uragano.»
«Carino da parte sua non avermi detto niente prima.»
«Non lo sapevo. Le previsioni del tempo non sono sempre affidabili. Ha paura di volare?»
«Certo che no. Trovo che volare sia fantastico», disse Johanson con decisione. «È precipitare che non mi piace.»
«Non precipiteremo. Per chi lavora nel settore offshore questa è robetta da bambini. Oggi non succederà niente di peggio che qualche sballottamento.»
«Quanto abbiamo ancora?»
«Siamo oltre la metà.»
«Va bene.» Johanson riaprì il libro.
Mille altri suoni si mescolavano al rumore del motore. Schiocchi, strepiti, fischi… A un certo punto, gli sembrò perfino di sentire un segnale, che risuonava a intervalli regolari da qualche parte dietro di lui. Che cosa non sapeva fare il vento con l'acustica! Johanson si girò verso i sedili posteriori, ma il segnale pareva cessato.
Tornò a dedicarsi al pensiero di Walt Whitman.
L'effetto Storegga
Diciottomila anni or sono, a metà dell'ultima Era Glaciale, il livello dell'acqua in tutto il pianeta era all'incirca centoventi metri più basso che all'inizio del Terzo Millennio. Gran parte della massa d'acqua era «bloccata» nei ghiacciai. Sulle zone dello zoccolo continentale c'era quindi una minore pressione e alcuni dei mari odierni non esistevano. Altri, nel corso della glaciazione, divennero sempre più bassi, altri ancora si asciugarono e si trasformarono in estesi paesaggi acquitrinosi.