L'ondata era gigantesca. Doveva essere alta trenta metri. Una parete verticale scrosciante di acqua grigio-nera. Poche centinaia di metri la separavano dalla riva, ma si avvicinava con la velocità di un treno. Restavano solo pochi secondi prima della collisione. Non c'era tempo sufficiente per prendere a bordo l'uomo e sfuggire alla massa d'acqua. Tuttavia il pilota provò ancora una volta ad avvicinarsi allo scienziato in fuga. Forse sperava che potesse saltare all'interno dal portellone aperto, oppure che riuscisse ad afferrare uno dei pattini… Insomma a fare una di quelle cose che al cinema riuscivano sempre, a patto di essere Bruce Willis o Pierce Brosnan. L'uomo inciampò e cadde.
Tutto divenne scuro. Dal vetro della cabina non si vedeva più il cielo, ma solo l'onda. Riempiva il loro campo visivo, si lanciava contro di loro ad altissima velocità. Si erano giocati l'unica possibilità. Non c'era più niente da fare. Al massimo, con una risalita verticale, sarebbero stati travolti a metà del gigantesco frangente. Se avessero volato rasoterra verso l'interno, avrebbero guadagnato tempo per riprendere quota, ma l'acqua li avrebbe raggiunti comunque. Lo tsunami era più veloce del Bell che, oltretutto, doveva anche girarsi. I pochi secondi che avevano ancora a disposizione non sarebbero bastati.
In un momento di lucidità, Johanson si chiese come potesse osservare quella massa d'acqua senza perdere la ragione. Poi fu riportato bruscamente alla realtà da una manovra del pilota… l'unica manovra giusta. L'uomo spinse all'indietro l'elicottero e contemporaneamente lo fece alzare. Il muso del Bell si abbassò e tutti loro si ritrovarono a fissare il terreno. Però non stavano cadendo, anzi si stavano allontanando dal suolo e dall'ondata incombente. Il Bell ruggiva come se gli ingranaggi volessero esplodere. Johanson non avrebbe mai creduto che un elicottero potesse compiere una simile manovra — forse non lo credeva nemmeno il pilota -, eppure funzionò.
L'ondata incombeva su di loro, sbavando come un animale affamato. Turbinò sulla spiaggia e cominciò a ripiegarsi su se stessa. Montagne di schiuma inseguivano il Bell nella sua fuga pazzesca. Lo tsunami ruggiva e urlava. Un attimo dopo, l'elicottero prese un colpo terribile e Johanson fu scagliato contro la parete laterale, appena di fianco al portellone aperto. L'acqua lo colpì sul viso, sbatté la testa contro la parete e vide lampi rosso scuro. Poi le sue mani toccarono una sbarra di metallo e vi si aggrapparono. Fu percorso da un dolore lancinante. Non era più in grado di dire se lo spaventoso scroscio che sentiva nelle orecchie provenisse dall'onda o dalla sua testa, se stesse aumentando o calando. Il suo unico pensiero era che sarebbero stati travolti e annientati. Ormai attendeva solo la fine.
Poi la luce tornò. La cabina era piena di acqua vaporizzata. Sopra l'elicottero correvano nere nubi frastagliate.
Ce l'avevano fatta.
Erano scampati allo tsunami, riuscendo a superare di un pelo la cresta.
L'elicottero continuò a salire e intanto virò, in modo che si potesse vedere la costa. Ma la costa non c'era più. Si scorgeva soltanto una violenta ondata, che, senza aver perso velocità, si spingeva verso l'interno e ingoiava la campagna. La stazione, i veicoli e lo scienziato erano spariti. Alla loro destra, dove la costa si alzava in verticale, esplodevano sugli scogli fontane di schiuma che schizzavano verso il cielo, molto più in alto del Bell, come se volessero unirsi alle nuvole.
Karen si rialzò a fatica. Quando il getto d'acqua aveva colpito il Bell, lei era caduta sulla fila di sedili. Guardava fuori e continuava a ripetere: «Mio Dio!»
Il pilota taceva. Era terreo e gli tremava la mandibola.
Ma ce l'aveva fatta.
Inseguirono l'ondata. La massa d'acqua procedeva sullo sfondo a una velocità molto più elevata di quella dell'elicottero. Una collinetta entrò nel loro campo visivo; l'ondata ci passò sopra e si riversò, schiumando, nella pianura retrostante, senza quasi rallentare Il terreno era così pianeggiante che l'acqua si sarebbe spinta all'interno per chilometri. Johanson vide una serie di macchie bianche… Erano pecore, che fuggivano disperate. Poi sparirono anch'esse.
Allora rammentò chi c'era a Sveggesundet.
Sveggesundet, Norvegia