Il suo potente protettore le aveva inizialmente procurato il ruolo di vice comandante delle forze di terra nell'Europa centrale. Nel giro di breve tempo, Judith Li aveva riscosso una notevole popolarità nella cerchia diplomatica. Formazione, cultura e doti naturali le erano state particolarmente utili. Il padre, un americano, proveniva da una famiglia di generali e aveva giocato un ruolo importante nella sicurezza della Casa Bianca, prima di doversi ritirare per motivi di salute. Sua madre, una cinese, era un'apprezzata violoncellista, che suonava nell'orchestra della New York City Opera. Per la loro unica figlia, entrambi nutrivano grandi speranze. Judith aveva preso lezioni di danza e di pattinaggio sul ghiaccio, nonché di pianoforte e di violoncello. Aveva accompagnato il padre nei suoi viaggi in Europa e Asia e quindi, fin da giovanissima, si era formata un'opinione precisa sulle differenze culturali. Le caratteristiche etniche e l'evoluzione storica esercitavano su di lei una passione irrefrenabile che la spingeva a porre continuamente domande a chiunque incontrasse, aiutata in ciò anche dal fatto che, già a dodici anni, parlava il mandarino — la lingua della madre -, a quindici si esprimeva correntemente in tedesco, francese, italiano e spagnolo e a diciotto aveva raggiunto un buon livello di giapponese e coreano. I suoi genitori erano stati severissimi per tutto ciò che riguardava le buone maniere, il modo di vestire e il rispetto delle regole della buona società, dimostrando invece una sorprendente tolleranza per tutto il resto. I princìpi presbiteriani del padre e la filosofia di vita della madre, forgiata dal buddhismo, convivevano in un rapporto armonico, come la loro vita.
Tuttavia la cosa più sorprendente era che, al momento del matrimonio, il padre aveva assunto il nome della moglie, cosa che aveva messo in moto una lunga e faticosa battaglia contro le autorità. Quel gesto d'amore per la donna che aveva lasciato la sua terra pur di seguirlo aveva portato alle stelle l'ammirazione di Judith per il padre, il quale, in realtà, era un uomo dalle mille contraddizioni. Sosteneva, per esempio, di essere in parte un liberale e in parte un repubblicano ultraconservatore e andava fiero di quella dicotomia. Una ragazza con un carattere meno forte, costretta alla pressione di una famiglia che le imponeva la perfezione in ogni disciplina, probabilmente sarebbe crollata. Ma Judith Li non l'aveva fatto: dopo aver saltato due classi, aveva ottenuto la licenza liceale con voti eccezionali, cominciando così a nutrire la convinzione di poter diventare ciò che voleva, fosse pure il presidente degli Stati Uniti d'America.
A metà degli anni '90, il dipartimento della Difesa le aveva offerto il posto di vice capo di stato maggiore, con delega alle operazioni e alla pianificazione; contemporaneamente era stata chiamata a occupare la cattedra di Storia a West Point. Presso il dipartimento della Difesa lei godeva ormai di una grande considerazione e il suo crescente interesse per la politica era stato notato da molti. Le mancava soltanto un rilevante successo militare. Il Pentagono riteneva indispensabile avere un'esperienza sul campo prima di dare il via libera all'ascesa ai livelli più alti, e quindi Judith Li agognava una bella crisi globale. Non aveva dovuto attendere a lungo. Nel 1999 aveva preso parte al confitto nel Kosovo come vice comandante delle operazioni e aveva scritto il suo nome nel libro degli eroi.
Finita la campagna militare, era diventata generale comandante a Fort Lewis e, dopo aver impressionato il presidente con un rapporto sulla sicurezza interna, era stata chiamata proprio nel consiglio di sicurezza nazionale. Judith Li aveva adottato una linea dura. Per molti aspetti, il suo pensiero era ancora più intransigente di quello dell'amministrazione repubblicana, ma in lei l'elemento trainante era il patriottismo. Era convinta che al mondo non esistesse un Paese migliore e più giusto degli Stati Uniti d'America e aveva argomentato questa sua affermazione in modo acuto ed esaustivo.
Improvvisamente si era ritrovata nel cuore del potere.