«Siamo davvero tutti dell'opinione che in questa teoria ci sia qualcosa di fondato?» chiese il direttore della CIA. «Voglio dire, stiamo parlando come se tutti i dubbi fossero stati spazzati via. Vogliamo davvero accettare l'idea che dobbiamo dividere la Terra con un'altra specie intelligente?»
«C'è solo
«Lo chiedo un'altra volta: che cosa riveliamo al mondo?» disse il segretario di Stato.
«È troppo presto per dire qualcosa al mondo.»
«Ci saranno domande…»
«E lei inventi le risposte. È un diplomatico, no? Se dicessimo al mondo che nel mare vivono esseri intelligenti, succederebbe un pandemonio.»
«Tra parentesi…» disse il direttore della CIA, rivolto a Judith. «Come dobbiamo chiamare questi cervelli bacati nell'oceano?»
Judith sorrise. «Johanson ha una proposta:
«Yrr?»
«Una
«Che cosa puerile.»
«Johanson ritiene che qualsiasi nome vada bene, e io gli do ragione. Dovremmo chiamarli yrr.»
«Va bene, Jude.» Il presidente annuì. «Vedremo cosa c'è di vero in questa teoria. Dobbiamo tenere in considerazione tutte le opzioni, tutte le possibilità. Ma se decideremo di dover combattere una battaglia contro esseri che, per quello che mi riguarda, possiamo anche chiamare yrr, allora sconfiggeremo questi yrr. Perché siamo in guerra contro gli yrr.» Si guardò intorno. «Questa è un'opportunità. Una grande opportunità. Voglio che sia sfruttata al meglio.»
«Con l'aiuto di Dio», disse Judith.
«Amen», farfugliò Vanderbilt.
Karen Weaver
In quella situazione di assedio, c'erano comunque dei vantaggi. Per esempio, allo Château, tutto era sempre aperto. Judith Li aveva fatto in modo che specialmente gli scienziati, impegnati giorno e notte nel lavoro, avessero la possibilità di gustarsi una bistecca anche alle quattro del mattino. Di conseguenza c'erano pasti caldi ventiquattr'ore su ventiquattro; il ristorante e i bar non chiudevano e tutte le attrezzature sportive, comprese la sauna e la piscina, erano disponibili a ogni ora del giorno e della notte.
Karen Weaver aveva nuotato in piscina per mezz'ora. Era già l'una passata. A piedi nudi, coi capelli bagnati e avvolta in un morbido accappatoio, stava attraversando la hall, diretta agli ascensori, quando, con la coda dell'occhio, notò Anawak. Era seduto al bancone del bar, un posto che non sembrava abituale, per lui. Se ne stava là con aria persa, davanti a una Coca-Cola che non aveva toccato e a una ciotola di noccioline; ogni tanto ne prendeva una, la guardava e poi la lasciava ricadere.
Karen esitò.
Dopo la conversazione bruscamente interrotta nel pomeriggio, non l'aveva più visto. Forse non voleva essere disturbato. Nella hall e negli spazi limitrofi regnava ancora un'intensa attività; solo il bar era semideserto. In un angolo c'erano due uomini in abito scuro, impegnati in una conversazione a bassa voce. Un po' più in là, una donna fissava concentrata lo schermo del suo laptop. Una musica West Coast in sottofondo rendeva quella scena del tutto normale.
Anawak non sembrava triste.
Karen aveva quasi deciso di tornare in camera, ma poi, quasi senza rendersene conto, entrò nel bar, lasciando orme umide sul parquet. Andò in fondo al bancone, dov'era era seduto Anawak, e disse: «Salve!»
Lui girò la testa e la fissò con sguardo assente.
Karen si bloccò. Sapeva benissimo che bastava un attimo per violare involontariamente la sfera intima di una persona, guadagnandosi la fama imperitura di scocciatori. Si appoggiò al bancone e strinse l'accappatoio intorno alle spalle. Tra loro c'erano due sgabelli.
«Salve», replicò Anawak. I suoi occhi scintillarono. Sembrava che si fosse reso conto solo in quel momento della presenza della donna.
Lei sorrise. «Cosa… ehm… Cosa fa qui?»
«Mi dispiace.»
«No, non deve», si affrettò a dire Karen. «Insomma, non volevo disturbarla. Ma l'ho visto seduto qui e ho pensato…» C'era qualcosa che non andava. Avrebbe fatto meglio ad andarsene.
Anawak sembrava essersi scosso dal torpore. Prese il bicchiere, lo sollevò e poi lo rimise giù. Posò lo sguardo sullo sgabello di fianco al suo. «Ha voglia di bere qualcosa?» chiese.
«Davvero non disturbo?»
«No, per niente.» Esitò. «Io mi chiamo Leon. Possiamo darci del tu?»
«Va bene, allora… Io mi chiamo Karen… Un Baileys con ghiaccio, grazie.»