Però l'incidente non aveva spezzato il suo amore per il mare, al contrario. Il mare esercitava su di lei un fascino oscuro, sembrava quasi chiamarla, invitarla ad andare sul fondo, dove la aspettavano i suoi genitori. Il mare la affascinava a tal punto che, una notte, era andata in autostop a Brighton e aveva nuotato fino al largo. Quando l'acqua, liscia come l'olio, nera, illuminata solo dalla luna, aveva come inghiottito le luci della località balneare, si era lasciata sprofondare lentamente sotto la superficie, provando ad annegare.
Ma non era così facile.
Era rimasta sospesa nell'oscurità, trattenendo il fiato e contando i battiti del cuore finché non le erano rimbombati nelle orecchie. E invece, anziché prendersi la sua forza vitale, il mare le aveva dimostrato quanta ne possedeva: quel cuore così forte… Eppure lei voleva assolutamente abbandonarsi al suo freddo abbraccio. Di colpo era arrivato l'istinto di respirare, che l'avrebbe costretta a prendere acqua nei polmoni. Suo padre le aveva parlato spesso di quel fenomeno. Nei polmoni si sarebbe formata della schiuma, la rete di alveoli si sarebbe sgonfiata a poco a poco e infine l'acuta mancanza di ossigeno l'avrebbe condotta alla morte. Due minuti per arrivare ai crampi del diaframma, che avrebbero reso impossibile il respiro. In cinque minuti, il cuore si sarebbe fermato.
Era schizzata verso l'alto, riemersa dall'incubo cominciato quando lei aveva dieci anni. Di anni ne aveva ormai sedici. L'equipaggio di un cutter, che passava lì vicino, l'aveva tirata fuori dall'acqua e portata in ospedale con una grave ipotermia. Lì, Karen aveva avuto tempo sufficiente per trasformare il coraggio e la disperazione in un progetto. Dopo essere stata dimessa, si era osservata per un'ora allo specchio, concludendo che non voleva più vedersi così. Si era tolta i piercing e aveva deciso di non rasarsi più i capelli. Poi aveva fatto dieci flessioni ed era crollata.
Una settimana dopo, era riuscita a farne venti.
Si era impegnata al massimo per recuperare quello che aveva perso. La scuola l'aveva riammessa, a condizione che si sottoponesse a una terapia, e lei aveva acconsentito. Si era dimostrata volenterosa e disciplinata. Era premurosa e gentile. Leggeva tutto quello che le capitava tra le mani, soprattutto sull'ecosistema della Terra e sugli oceani. Non passava giorno senza che si allenasse. Da quando il mare l'aveva liberata, lei correva, nuotava, faceva boxe e si arrampicava per cancellare anche le ultime tracce del tempo perduto. Alla fine, la ragazza magra e con gli occhi incavati era sparita: il suo corpo ricordava quello di una statua greca. A diciannove anni, con un anno di ritardo, si era diplomata brillantemente e si era iscritta a Biologia.
Karen era diventata una persona nuova.
Con una vecchia nostalgia.
Per comprendere meglio il mondo e come funzionava, si era occupata anche d'informatica. La rappresentazione di relazioni complesse attraverso il computer la entusiasmava, e non si era data pace finché non era riuscita a rappresentare virtualmente i movimenti dell'oceano e dell'atmosfera. Il suo primo lavoro era stato un ampio quadro delle correnti marine, una cosa che non avrebbe portato nulla di nuovo al sapere universale, ma che rivelò grande lucidità e rigore logico. Era un omaggio a due persone che lei aveva amato e che aveva perso troppo presto. Quando Karen metteva la testa sott'acqua e faceva ricerche, restituiva qualcosa di quello che aveva ricevuto in abbondanza: amore e sapere. Aveva fondato una società di pubbliche relazioni, la Deepbluesea; scriveva per
Tranne l'essere sola. Ogni tanto.
Si guardò nello specchio del bar: era bagnata e avvolta nell'accappatoio di spugna. Aveva un'aria perplessa.
Bevve in fretta il Baileys e andò a letto.
14 maggio
Anawak
Il ronzio del motore lo fece sprofondare lentamente nel sonno.
Una volta presa la decisione di partire, aveva avuto la sensazione di essersi lasciato alle spalle le sue difficoltà. Si era convinto che Judith Li l'avrebbe bloccato; invece lei l'aveva letteralmente spinto a prendere il primo aereo.