Читаем Il quinto giorno полностью

Anawak guardò il soffitto. «Sai qual è la cosa strana?» La sua voce sembrava impastata. «Che la sua morte mi colpisce da vicino. La morte non mi ha mai particolarmente impressionato. L'ultima volta che ho pianto è stato quand'è morta mia madre. Mio padre è morto e l'orrore di non riuscire a dispiacermene mi fa star male. Tu conosci fin troppo bene la storia… Ma Alicia? Mio Dio. Non ho mai riflettuto seriamente su di lei. Era una studentessa che per lungo tempo mi ha dato sui nervi. Poi ho imparato ad apprezzarla.»

Karen esitò, poi timidamente gli tocco la spalla. Le dita di Anawak le sfiorarono la mano.

«Il tuo programma funziona benissimo», disse lui.

«Questo vuol dire che i biologi in laboratorio dovranno cambiare tutto e verificarlo.»

«Sì. Il problema sta proprio qui. Rimane un'ipotesi.»

Avevano provvisto gli unicellulari virtuali di un DNA capace di apprendere e in grado di mutarsi continuamente. Secondo questo modello, ogni singola cellula era una sorta di piccolo computer autonomo, che riscriveva costantemente il proprio programma. Ogni nuova informazione cambiava la struttura del genoma. Se una determinata parte delle cellule faceva un'esperienza, l'esperienza cambiava la struttura genetica. Poi, quando le cellule si fondevano con le altre, trasmettevano le nuove informazioni e il DNA delle altre si modificava. In tal modo, l'insieme apprendeva di continuo e la fusione provocava anche una distribuzione delle informazioni. Ogni nuova conoscenza della singola cellula arricchiva l'esperienza collettiva.

Quell'idea era rivoluzionaria, perché significava che il sapere era ereditario. Anawak ne aveva parlato con Sue Oliviera, Sigur Johanson e Mick Rubin, e gli scienziati erano rimasti sconcertati. Da una parte, l'idea era stata accettata con entusiasmo.

Dall'altra, c'era un inconveniente.


Sala di controllo

«Se il DNA muta, si arriva a un cambiamento delle informazioni genetiche», spiegò Rubin. «E una cosa del genere sarebbe problematica in tutti gli esseri viventi.»

Nel bel mezzo dell'analisi, si era allontanato dal laboratorio, dicendo che gli era tornata l'emicrania. Invece era seduto nella sala di controllo segreta con Judith Li, Peak e Vanderbilt. Stavano scorrendo i verbali delle intercettazioni. Naturalmente in quella sala sapevano tutti del programma di Karen e di Anawak, e anche della loro teoria. Tranne Rubin, però, nessuno riusciva a capirci qualcosa.

«Un organismo ha la necessità che il proprio DNA resti intatto», stava dicendo Rubin. «In caso contrario, si ammala, oppure si ammalano i suoi discendenti. Per esempio, l'esposizione alla radioattività provoca danni irreparabili nel DNA, col risultato che nascono individui mutanti o si sviluppa il cancro.»

«Ma come la mettiamo con l'evoluzione?» chiese Vanderbilt. «Se noi ci siamo sviluppati da scimmie in esseri umani, vuol dire che il DNA deve essere cambiato.»

«Giusto, ma l'evoluzione avviene in tempi molto lunghi. E sceglie sempre quelli che mostrano un adattamento ottimale alle circostanze. Non si parla mai degli insuccessi evolutivi, tuttavia la natura elimina parecchie mutazioni. Fra la trasformazione genetica radicale e l'eliminazione, però, c'è la riparazione. Pensate all'abbronzatura. La luce del sole trasforma le cellule degli strati superficiali della pelle e ciò porta a mutazioni del DNA. Diventiamo scuri… anzi, se non stiamo attenti, diventiamo rossi e ci scottiamo. In questo caso, il corpo elimina le cellule distrutte. Negli altri casi le ripara. Se non ci fossero queste riparazioni, non potremmo vivere. A ogni piccola mutazione ci scorticheremmo, le ferite non guarirebbero e non si potrebbe sconfiggere nessuna malattia.»

«Capisco», disse Judith Li. «Ma cosa accade con gli organismi unicellulari?»

«Se il loro DNA muta, devono ripararlo. Guardi, le cellule si riproducono per scissione. Se il loro DNA non venisse riparato, nessuna specie resterebbe stabile. Bisogna tenere presente che la natura ha sempre l'interesse a mantenere le mutazioni di qualunque cellula a un livello tollerabile. Però ora c'è l'inconveniente della teoria di Anawak. Un genoma viene sempre riparato globalmente, in tutta la sua lunghezza. Dovete immaginare gli enzimi addetti alla riparazione come poliziotti che pattugliano tutto il DNA, attenti a scovare eventuali errori. Non appena trovano un punto danneggiato, iniziano la riparazione. Così le informazioni, quale che sia la condizione originaria, si conservano. Gli enzimi riparatori sono, per così dire, i protettori del sapere del genoma. Durante i loro giri di controllo, si accorgono subito che qui c'è un gene nelle condizioni originali e lì ce n'è uno sbagliato. È come se un bambino volesse imparare in segreto una lingua. Non appena impara una parola, arrivano gli enzimi riparatori e riprogrammano il cervello alle condizioni originarie, quindi all'ignoranza. Una conoscenza non è concessa.»

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