Sbigottito, Rubin fissò la porta chiusa. A poco a poco, la mente gli si snebbiò. Doveva uscire da lì. Nella nave era esploso qualcosa, probabilmente stavano affondando. Se non avesse raggiunto uno spazio aperto nel giro di pochi minuti, la situazione rischiava di diventare molto difficile.
Intorno a lui cominciò a splendere una luce.
C'erano dei lampi.
Di colpo gli venne in mente che nella cisterna non c'era solo l'acqua. Cercò di alzarsi, scivolò e cadde all'indierro. L'acqua sprizzò. Rubin finì con la testa sotto la superficie, remò con le mani e sentì che qualcosa opponeva resistenza.
Qualcosa di liscio. Di mobile.
Davanti ai suoi occhi comparvero dei lampi, poi non riuscì più a prendere aria perché la gelatina gli stava coprendo il viso. Come impazzito, Rubin cercò di strapparla via, ma non riusciva ad afferrare quella sostanza. Scivolava ovunque e, se riusciva a prenderla in mano, essa cambiava forma all'istante oppure si scioglieva. Inoltre continuava ad arrivarne altra.
Aprì la bocca e sentì che quella sostanza gli stava strisciando dentro. Perse completamente il lume della ragione. Una sottile propaggine serpeggiò nell'esofago, altre gli penetrarono nelle narici. Lui soffocava, dava colpi all'intorno… Poi sentì un dolore incredibile alle orecchie, come se un boia vi stesse conficcando spietatamente dei coltelli. Un ultimo, limpido pensiero gli disse che la gelatina era diretta nel suo cranio.
Dal momento della disgrazia nel ponte a pozzo Rubin aveva continuato a chiedersi se l'organismo esaminava il cervello umano per curiosità o perché avesse qualche intenzione precisa, oppure se lo facesse per abitudine. Da milioni di anni s'infilava in tutto ciò che, dal suo punto di vista, meritava di essere esaminato…
Poi non si chiese più niente.
Greywolf
Che pace. Che tranquillità.
Probabilmente Vanderbilt aveva provato altre sensazioni. Aveva avuto paura. La sua morte era stata orribile, com'era giusto che fosse. Senza la paura era un'altra cosa.
Gieywolf sprofondava nell'abisso.
Tratteneva il fiato. Nonostante il tremendo dolore al ventre, voleva tenere il fiato il più a lungo possibile. Ma non perché credesse che ciò gli avrebbe allungato la vita. Quello era l'ultimo atto di volontà, di controllo. Sarebbe stato lui a determinare quando l'acqua gli sarebbe entrata nei polmoni.
Alicia era là sotto. Tutto quello che aveva voluto, quello che era stato importante per lui si trovava sott'acqua. Dunque era logico che pure lui seguisse quella strada. Era inevitabile.
Vide un'ombra nera venire verso di lui. Un'altra la seguiva. Gli animali non gli prestarono attenzione.
Ma anche quello si sarebbe rimesso a posto. Prima o poi. E il lupo grigio sarebbe diventato un'orca.
Poteva esserci un ultimo pensiero più bello?
Espirò.
Peak
«Ma è completamente impazzita?»
La voce di Peak risuonava tra le pareti della rampa. Judith Li procedeva in fretta davanti a lui. Cercò d'ignorare il dolore martellante alla caviglia e di tenere il passo della donna, che aveva buttato via il mitra e teneva in mano la pistola.
«Non mi dia sui nervi, Sal.» Judith Li si diresse verso la scaletta di boccaporto successiva. Salirono al livello immediatamente superiore, nel punto in cui sfociava il corridoio del settore segreto. Dal ventre della nave arrivavano tremiti e rimbombi sinistri. Il pavimento oscillava violentemente e si piegava, così furono costretti a fermarsi. Forse alcune paratie non avevano retto alla pressione dell'acqua. Nel frattempo, l'
«Non darle sui nervi?» Peak le sbarrò la strada. Sentiva che il suo orrore si stava trasformando in rabbia. «Lei uccide senza scrupoli oppure lascia che le persone muoiano. Perché, maledizione? Non era questo che avevamo pianificato e discusso!»
Judith Li lo guardò. Il suo viso era tranquillo, ma gli occhi acquamarina fiammeggiavano. Peak non aveva mai visto prima quella luce sinistra. D'un tratto comprese che quella soldatessa pluridecorata era completamente pazza.
«Era stato discusso con Vanderbilt», spiegò lei.
«Con la CIA?»
«Con Vanderbilt della CIA.»