«Mangia il ghiaccio!» urlò Johanson, fissando il video. Ma, nello stesso istante, pensò:
Sahling guardò il monitor. «Sono morti.»
«Morti?»
«Crepati. Asfissiati. I vermi hanno bisogno di ossigeno.»
«Lo so. È il senso di tutta la simbiosi. I batteri nutrono il verme ed esso, girando vorticosamente, procura l'ossigeno ai batteri. Ma cos'è successo
«Qui è successo che hanno scavato fino alla morte. Hanno fatto dei buchi, divorando il ghiaccio come se fosse un'autentica leccornia, finché non sono finiti nella sacca di gas, dove sono soffocati», spiegò Sahling.
«Kamikaze», mormorò Bohrmann.
«In effetti sembra proprio un suicidio», annuì Johanson. Poi aggiunse: «Oppure sono stati ingannati da qualcosa».
«Possibile. Ma da che cosa? All'interno degli idrati non c'è nulla che possa giustificare un simile comportamento.»
«Forse il gas che c'è la sotto?» ipotizzò Johanson, sfregandosi la fronte.
«Ci abbiamo pensato anche noi. Tuttavia non spiega perché essi si suicidino.»
Johanson rivide dentro di sé il brulichio sul fondale marino e il suo malessere crebbe. Se milioni di vermi si mettono a scavare nel ghiaccio, quali potrebbero essere le conseguenze?
Bohrmann sembrò intuire i suoi pensieri. «Gli animali non possono destabilizzare il ghiaccio», disse. «In mare, lo strato di idrati è molto più spesso che qui. Questi animaletti impazziti scalfiscono solo la superficie e al massimo un decimo dello strato di ghiaccio. Poi inevitabilmente muoiono.»
«E allora? Esaminerà altri vermi?»
«Sì. Ne abbiamo ancora qualcuno. Forse sfrutteremo anche l'occasione per dare un'occhiata sul posto. Credo che la Statoli ci darà il benvenuto. Nelle prossime settimane, la
Johanson guardò la gigantesca cisterna e pensò ai vermi morti al suo interno. Alla fine mormorò: «Sì, è una buona idea».
Più tardi, Johanson andò al suo hotel per cambiarsi. Cercò di raggiungere telefonicamente Tina Lund, ma non ci riuscì. La immaginò tra le braccia di Kare Sverdrup e riagganciò.
Bohrmann l'aveva invitato a cena in uno dei bistro più alla moda di Kiel. Si osservò nello specchio del bagno. Doveva spuntarsi la barba almeno di un paio di millimetri. Tutto il resto era a posto. La chioma — un tempo nera, ora striata di grigio — gli cadeva rigogliosa sulle spalle. Sotto le ciglia lunghe e nere lampeggiava lo sguardo di sempre. C'erano momenti in cui si compiaceva del proprio carisma. In altri — soprattutto di prima mattina — non riusciva più a scorgerlo. Fino ad allora erano bastate un paio di tazze di tè e un minimo di cura per rimettersi in ordine. Non molto tempo prima, una studentessa l'aveva paragonato all'attore tedesco Maximilian Schell, e Johanson si era sentito lusingato, ma poi aveva scoperto che Schell aveva settant'anni. Quindi aveva cambiato crema idratante.
Frugò nella valigia e scelse un pullover con la cerniera, si mise la giacca e si avvolse una sciarpa attorno al collo. Non era vestito bene, ma a lui piaceva così. Coltivava la propria trascuratezza e gli piaceva infischiarsene della moda. Solo nei momenti di profonda sincerità era disposto ad ammettere che il suo aspetto trasandato costituiva anch'esso una moda, che lui seguiva in modo non dissimile da come facevano gli altri, pronti ad adottare ogni nuova tendenza. E, sempre in quelle rare occasioni, ammetteva pure che dedicava più tempo alla sua chioma in disordine di quanto non facesse la maggior parte dell'umanità per mantenere una pettinatura perfetta.
Dopo aver sorriso alla propria immagine riflessa, uscì dalla stanza, lasciò l'hotel e prese un taxi per raggiungere il luogo dell'appuntamento.
Bohrmann lo stava aspettando. Chiacchierarono a lungo del più e del meno, bevvero vino e mangiarono delle sogliole fantastiche. Dopo un po', tuttavia, la conversazione ritornò sugli abissi marini.