«Avete ragione entrambi.» Bohrmann sollevò le braccia. «
«È impressionante», disse Johanson sottovoce a Sahling. «Non sapevo che ce ne fosse tanto.»
«È anche di più», replicò il biologo. «Non mi ricordo esattamente il numero, ma lui lo sa di certo.»
Come se Bohrmann avesse sentito, disse: «Probabilmente — possiamo solo ipotizzarlo — nel mare ci sono più di diecimila gigatonellate di metano congelato. Inoltre vi sono anche riserve a terra, nel permafrost dell'Alaska e della Siberia. Solo per darvi un'idea della quantità, tenete presente che oggi, nei giacimenti utilizzabili di carbone, petrolio e gas naturale, ci sono in tutto circa cinquemila gigatonnellate. Non c'è da meravigliarsi se le società energetiche si stanno rompendo la testa per estrarre gli idrati. Una minima percentuale raddoppierebbe in un colpo le riserve energetiche degli Stati Uniti, che sono di gran lunga i maggiori consumatori. Ma è sempre la solita storia: le industrie vedono una gigantesca riserva di energia, la scienza una bomba a orologeria, quindi si cerca d'instaurare una collaborazione, naturalmente sempre nell'interesse dell'umanità. Così siamo arrivati alla fine della nostra spedizione. Grazie di essere stati qui». Ridacchiò sotto i baffi. «Volevo dire, di avermi ascoltato.»
«E di aver capito qualcosa», mormorò Johanson.
«Speriamo», aggiunse Sahling.
«Avevo un'immagine diversa di lei», disse Johanson alcuni minuti dopo, quando strinse la mano a Bohrmann. «Nelle foto su Internet hai baffi.»
«Tagliati.» Bohrmann si toccò il labbro superiore. «In fondo, è addirittura colpa vostra.»
«Come?»
«Ho riflettuto in continuazione sui vostri vermi. Anche stamattina. Ero davanti allo specchio e un verme è strisciato davanti al mio occhio interiore e ha fatto una rotazione che, per motivi inesplicabili, il mio rasoio ha seguito. Ho tagliato una punta e così ho sacrificato tutti i baffi alla scienza.»
«Allora ho sulla coscienza i suoi baffi.» Johanson sollevò le sopracciglia. «Ogni tanto cambiare fa bene.»
«Non c'è problema. Ricresceranno non appena partiremo per la spedizione. In mare se li fanno crescere tutti. Non so perché. Forse abbiamo bisogno di sembrare avventurieri per non soffrire il mal di mare. Venga, andiamo in laboratorio. O forse vuole prima una tazza di caffè? Possiamo fare una puntata al bar.»
«No, sono troppo curioso, il caffè può aspettare. Parte per un'altra spedizione?»
«In autunno», annuì Bohrmann, mente attraversavano passerelle e corridoi di vetro. «Vogliamo andare nella zona di subduzione delle Aleutine e fare ricerche sulle fonti fredde. Ha avuto fortuna a trovarmi a Kiel. Sono tornato dall'Antartico quattordici giorni fa; c'ero rimasto quasi otto mesi. La sua telefonata è arrivata un giorno dopo il mio rientro.»
«Posso chiederle che cos'ha fatto per otto mesi all'Antartico?»
«Ho portato gli uwis sul ghiaccio.»
«Chi?»
Bohrmann sorrise. «Gli
Johanson pensò al taxista e disse: «La maggior parte delle persone non si entusiasma per cose simili. Non riescono a capire il rapporto tra la conoscenza della storia del clima e la fine delle carestie. Oltretutto non serve a vincere i prossimi mondiali di calcio».
«Qualche responsabilità l'abbiamo anche noi. La scienza si è chiusa nel proprio guscio», osservò Bohrmann.
«Lo crede? La sua piccola conferenza sembrava tutt'altro che 'chiusa'.»
«Però non so se questa apertura all'opinione pubblica serva a qualcosa», sospirò Bohrmann, mentre scendevano una rampa di scale. «Di fronte al disinteresse generale, i giorni di 'porte aperte' cambiano poco. Poco tempo fa ne abbiamo avuto uno e c'era un sacco di gente. Ma se avesse chiesto a qualcuno dei visitatori se sia giusto che vengano stanziati dieci milioni di nuovi finanziamenti…»
Johanson tacque per un attimo, poi disse: «Credo che il vero problema siano gli universi che dividono noi scienziati. Che ne pensa?»
«Perché comunichiamo poco?»
«Sì, la comunicazione è scarsa anche tra la scienza e l'industria, tra gli scienziati e i militari.»
«O tra la scienza e i colossi del petrolio?» chiese Bohrmann, scoccandogli una lunga occhiata.