Per nulla impressionato, il taxista imboccò l'uscita, tagliando tre corsie e sempre procedendo a grande velocità. L'autobotte strombazzò. Alla sua destra, Johanson vide il mare. Procedevano lungo la riva orientale del fiordo di Kiel. Dalla parte opposta, enormi gru svettavano verso il cielo.
Evidentemente il taxista aveva preso male l'ultima osservazione di Johanson, perché non aveva più detto una parola. Attraversarono le strade della periferia con le casette dal tetto spiovente, finché non comparve l'ampio complesso di edifici di cemento, vetro e acciaio che non avevano nulla a che fare con quella tranquillità piccolo borghese. Il taxista svoltò in modo brusco nella zona dell'istituto e si fermò facendo stridere le gomme. Johanson ispirò profondamente, pagò e scese con la consapevolezza di aver vissuto negli ultimi quindici minuti un'esperienza decisamente peggiore di quella sull'elicottero della Statoil.
«Mi piacerebbe proprio sapere che cosa combinano là dentro», disse il taxista. Sembrava quasi che parlasse al volante.
Johanson si chinò e lo guardò attraverso il finestrino del passeggero. «Lo vuole davvero sapere?»
«Sì.»
«Cercano di salvare il lavoro dei taxisti.»
L'altro lo guardò, sbalordito. «Non capita spesso di portare qui dei clienti…» mormorò.
«Ma per farlo la sua macchina deve muoversi. Se finisce la benzina, i vostri rottami potete anche demolirli, a meno che non si possa farli funzionare con qualcos'altro, e quel qualcosa è nel mare. Metano. Combustibile. Stanno cercando di renderlo utilizzabile.»
Il taxista aggrottò la fronte, poi disse: «Sa qual è il problema? Che nessuno ci spiega queste cose».
«C'è su tutti i giornali», replicò Johanson.
«C'è sui giornali che legge
Johanson era tentato di rispondere. Invece si limitò ad annuire e chiuse la portiera. Il taxi voltò e sfrecciò via.
«Dottor Johanson!» gridò qualcuno. Da un edificio rotondo di vetro uscì un giovane abbronzato e venne verso di lui.
Johanson gli strinse la mano. «Gerhard Bohrmann?»
«No, Heiko Sahling, biologo. Il dottor Bohrmann arriverà con un quarto d'ora di ritardo, sta tenendo una lezione. Posso accompagnarla da lui, oppure magari andiamo a berci un caffè al bar.»
«Lei che cosa preferisce?»
«Per me è lo stesso. Molto interessanti i suoi vermi, sa?»
«Se ne è occupato lei?»
«Ce ne siamo occupati tutti. Venga, conserviamo il caffè per dopo. Gerhard finirà tra poco; intanto andiamo a sentire la sua lezione.»
Entrarono in un foyer molto elegante. Sahling lo condusse lungo una scalinata e sopra una passerella d'acciaio. Per essere un istituto scientifico, il Geomar somigliava fin troppo a un edificio che volesse vincere un premio architettonico, pensò Johanson.
«In genere le lezioni si tengono nell'auditorium», spiegò Sahling. «Ma oggi abbiamo in visita una scolaresca.»
«Lodevole.»
Sahling sorrise. «Per i quindicenni non c'è differenza tra un auditorium e un'aula. Allora abbiamo girato con loro per tutto l'istituto. Avevano il permesso di guardare ovunque e di toccare quasi tutto. Abbiamo tenuto il deposito delle rocce per ultimo. Lì Gerhard racconta loro la storia della buona notte.»
«Su che cosa?»
«Sugli idrati di metano», rispose Sahling. Aprì una porta a vetri. La passerella proseguiva anche oltre. Il deposito delle rocce era grande come la metà di un hangar. L'edificio era aperto verso il molo e Johanson fissò lo sguardo su una nave molto grande. Lungo le pareti erano accatastate casse e apparecchiature. «Qui vengono immagazzinati provvisoriamente i campioni», disse Sahling. «Prevalentemente sedimenti e campioni di acqua marina. Archiviamo la storia della Terra. Ne siamo particolarmente orgogliosi.» Sollevò una mano, facendo un cenno di saluto. Da sotto, un uomo molto alto rispose e tornò a dedicarsi al gruppo di adolescenti. Johanson si appoggiò al parapetto della passerella e lo ascoltò.
«… Uno dei momenti più eccitanti che abbiamo vissuto», stava dicendo il dottor Gerhard Bohrmann. «La benna, a circa ottocento metri di profondità, aveva scavato alcuni quintali di sedimenti infarciti di una sostanza bianca e aveva versato i frammenti sul piano di lavoro. Per essere precisi, solo quello che era arrivato in superficie.»
«Era nel Pacifico», mormorò Sahling. «Nel 1996, sulla