Poche città riuscivano a coniugare passato e futuro altrettanto bene come Trondheim. E per quello Sigur Johanson si considerava fortunato ad abitare a Mollenberg, in via Kirkegata, una strada che pareva fuori dal tempo. La sua casa color ocra, col tetto a capanna, un balconcino dipinto di bianco e la porta con l'architrave avrebbe entusiasmato ogni regista hollywoodiano. Benché Johanson ringraziasse il destino di averlo portato a occuparsi di biologia marina, e soprattutto di uno dei settori di ricerca più legati al presente, il «qui e ora» lo interessava solo marginalmente. Era un visionario e, come tutti i visionari, era affezionato tanto agli ideali assolutamente nuovi quanto a quelli passati. La sua vita era permeata dallo spirito di Jules Verne. Nessuno aveva saputo coniugare lo scoppiettante ritmo dell'era delle macchine, l'ultraconservatore comportamento cavalleresco e il gusto dell'impossibile come il grande scrittore francese. Il presente era una lumaca che si portava sul dorso necessità oggettive e banalità e per questo non trovava spazio nell'universo di Sigur Johanson, il quale, pur sapendo di essergli assoggettato e di dovergli concedere qualcosa, lo disprezzava per il modo in cui esso trattava quello che lui gli concedeva.
In quel tardo pomeriggio invernale, di ritorno da un fine settimana interamente dedicato al passato, Johanson guidava la sua jeep lungo Ovre Bakklandet verso l'NTNU. Alla sua destra si snodava lo splendente fiume Nidelva. Era stato nei boschi e aveva visitato i villaggi della zona che sembravano non essere neppure stati sfiorati dal tempo. D'estate avrebbe preso la Jaguar, mettendo nel bagagliaio un cestino da picnic con pane appena sfornato, pâté di fegato d'oca acquistato in gastronomia e avvolto in carta stagnola e una bottiglia di Gewürztraminer, preferibilmente del 1985. Fin da quando si era trasferito lì da Oslo, Johanson aveva scoperto una serie di luoghi in cui non si trovavano né gli abitanti di Trondheim, in cerca di tranquillità, né turisti. Due anni prima, per caso, era finito sulla riva di un laghetto appartato e lì, con grande gioia, aveva visto una piccola casa di campagna da ristrutturare. C'era voluto del tempo per trovare il proprietario — un dirigente della società di ricerche petrolifere Statoil che si era temporaneamente trasferito a Stavanger, — ma poi l'acquisto della casa era stato concluso in fretta. L'uomo era stato felicissimo di aver trovato un acquirente e l'aveva venduta a poco prezzo. Nelle settimane successive, Johanson l'aveva fatta rimettere in sesto da alcuni russi immigrati illegalmente e l'aveva trasformata sul modello dei rifugi che i signori del XIX secolo amavano adibire a residenza di campagna e luogo di piacere.
Durante le lunghe serate estive, lui sedeva nella veranda con vista sul lago, leggeva i più visionari tra i classici — da Thomas More a Jonathan Swift e H.G. Wells — ascoltava Mahler e Sibelius, il pianoforte di Glenn Gould e le composizioni di Ravel nell'interpretazione di Celibidache. Aveva anche raccolto una voluminosa biblioteca. Johanson possedeva due copie di quasi tutti i suoi libri preferiti e lo stesso valeva per i CD. Non poteva pensare di rinunciarvi, ovunque si trovasse.
Johanson guidava lungo il terreno leggermente in salita. Davanti a lui c'era il blocco principale dell'NTNU, un imponente edificio spolverato di neve, costruito all'inizio del XX secolo. Sembrava quasi un castello. Dietro di esso si estendeva la zona universitaria vera e propria, coi fabbricati per le aule e coi laboratori. Diecimila studenti popolavano un'area che sembrava una piccola città. Ovunque dominava una vitalità rumorosa. Si concesse un momento per gustare il ricordo della sensazione di benessere provata al lago. Era stato fantastico, lì, da solo e in uno stato di profonda ispirazione. Talvolta, l'estate precedente, aveva portato con sé una ragazza, un'assistente del dipartimento di Cardiologia, conosciuta durante un viaggio per recarsi a un congresso. Erano arrivati in fretta al dunque, ma, alla fine dell'estate, per Johanson quella storia era già finita. Non voleva legami, soprattutto perché sapeva valutare perfettamente la realtà: lui aveva cinquantasei anni e lei trenta di meno. Bello per qualche settimana; inaccettabile per la vita, soprattutto perché ormai ciò che aveva vissuto era molto più di quanto gli restava da vivere.
Posteggiò nel parcheggio a lui riservato e si avviò verso l'edificio della facoltà di Scienze naturali. Quando entrò nel suo ufficio, aveva la mente ancora persa nel ricordo del lago e quasi non si accorse di Tina Lund che stava alla finestra e che si era voltata al suo arrivo.
«Sei un po' in ritardo», ironizzò la donna. «È colpa del vino rosso oppure c'era qualcuno che non ti voleva lasciar andare?»