Il camioncino raggiunse Woodstock Road, un canyon di vecchi edifici di mattoni rossi, molti dei quali, specialmente agli incroci, erano stati trasformati in botteghe e filiali di banche o di compagnie d’assicurazione. Poco dopo, svoltando prima a sinistra e poi a destra in strade ancora più strette, Betty York fermò il camioncino davanti a una casa alta, vicina a una fila di costruzioni vittoriane. L’edificio apparteneva alla vasta e intramontabile famiglia di case che nel secolo passato si stendevano da un capo all’altro dell’Inghilterra. Costruite secondo criteri migliori, da parecchi punti di vista, di quelli dell’edilizia moderna, praticamente identiche come dimensioni e disposizione generale, abbondantemente diffuse in ogni paese e città, quelle case servivano soprattutto a ospitare studenti, giovani coppie e persone anziane; callisti, massaggiatori, architetti alle prime armi, agenzie pubblicitarie di dimensioni modeste, istituti di carità non troppo ricchi; servivano da sfondo suggestivo agli scandali più sordidi e ai delitti più sensazionali. Ed erano il tipo di casa che Redpath aveva sempre odiato.
Scese dal camioncino, si fermò sul marciapiede. Scrutò la porta marrone scuro e le finestre, il numero 131 scolpito sulla traversa, il muschio che si insinuava fra i mattoni, il fazzoletto di giardino col terreno nero ma sterile e i ciuffi d’erba rada. Albert gli passò di fianco strascicando gli stivali, scomparve in casa lasciando aperta la porta. Redpath guardò la facciata ed ebbe uno strano brivido, un tocco gelido alla nuca, quando si accorse che la porta interna, appena intravista, aveva al centro dei pannelli di vetro un grande giglio color ambra.
“Quando entrerò,” pensò, “sulla mia destra ci sarà una scalinata, e in cima alla scalinata ci sarà un lungo pianerottolo che arriva fin sul dietro della casa, con una finestra all’estremità, e su quella finestra ci sarà un altro giglio identico a questo.”
— È un posto molto carino — disse Betty, apparsa al suo fianco. — Carino e tranquillo. Nessuno ti disturberà.
Redpath guardò oltre la sua testa. Vide l’insegna in ferro battuto, vecchia ma non antica, appesa all’ultima casa della fila. L’insegna diceva: “Raby Street”. Il nome non gli diceva niente; eppure la visione dell’interno della casa aveva qualcosa di molto particolare, forse era più intensa del solito, tanto che gli sembrava di riconoscerla, non di vederla o intuirla per la prima volta.
“Eppure, questa non è la mia zona. Non sono mai stato qui. Dev’essere ancora colpa di quella porcheria che Nevison e i suoi scagnozzi mi hanno iniettato…”
Betty lo prese per il braccio, e per un attimo lo sfiorò il calore morbido del suo seno. — Ti faccio vedere la stanza, tesoro. È sul retro, dove c’è più sole.
Redpath si lasciò spingere avanti come un bambino trascinato a scuola il primo giorno. Betty gli aprì la porta interna, e lui si trovò nell’atrio. La scalinata alla sua destra terminava su un lungo pianerottolo, e all’estremità del pianerottolo c’era una finestra con un giglio istoriato sui vetri. I raggi di luce che entravano dalla finestra sottolineavano l’oscurità del resto della casa. Quando gli giunse alle narici il profumo di chiodi di garofano, Redpath rovesciò la testa all’indietro, allarmato. L’aroma intenso svanì in un secondo e lui capì che si era trattato di una sensazione sinestetica, di un’impressione falsa scatenata dal fatto che la finestra fosse esattamente come aveva previsto. Rabbrividì. All’improvviso pensò che quello fosse un avvertimento.
— Di qui, tesoro. — Betty gli fece strada su per le scale. A ogni passo, il suo sedere e le sue cosce ondeggiavano, come animati di vita propria. Lui la seguì, aspettandosi di veder comparire Albert da un momento all’altro, magari con la faccia sorridente affacciata a una porta; ma la casa pareva aver assorbito in sé quello strano individuo. L’unico rumore che si udiva erano i loro passi sulla stuoia sottile che ricopriva la seconda serie di scalini. Sul pianerottolo al piano di sopra si aprivano due porte, tutte e due stranamente dipinte di rosa.
“Forse in un posto come questo sono cresciuti dei bambini. Dio li aiuti.”
Betty aprì la porta più vicina al retro della casa, entrò in una camera da letto quadrata, alquanto grande. Sul pavimento era steso un linoleum rosa, sfigurato da linee marroni, parallele, che seguivano l’andamento delle assi sottostanti. Redpath avanzò nella stanza e vide che conteneva un letto matrimoniale, un armadio, due cassettoni e un comodino, tutti di foggia antiquata, diversi fra loro anche nella qualità del legno. Dal centro del soffitto pendeva un lampadario, storto a causa del filo che lo collegava a una seconda luce sistemata sulla parete a ridosso del letto.
— Non sarà il palazzo reale — commentò Betty — però qui starai comodissimo, John. Il bagno è ai piedi delle scale.
“Vuole affittarmi la stanza sul serio” pensò Redpath, avvicinandosi alla finestra. “E adesso come me la cavo?”