Redpath si alzò, corse all’ingresso sul retro che immetteva in casa. Divorò gli scalini, che giravano sotto i suoi occhi come uno stroboscopio impazzito. Non c’era tempo da perdere. Doveva suonare subito alla porta di Leila, in modo che lei pensasse che Nevison era tornato e gli aprisse senza essere preparata mentalmente o fisicamente. “Così scoprirò la verità.” Arrivò al pianerottolo del secondo piano, alla porta verde oliva, e suonò. Non ebbe risposta. Cominciò a dondolarsi prima su un piede, poi sull’altro. Passava troppo tempo, si perdeva l’elemento sorpresa.
La chiave! Dov’era la chiave di cui Leila non gli aveva mai detto niente, la chiave che riponeva sempre senza farsi vedere da lui? Non sotto lo zerbino: troppo ovvio. Redpath alzò il vaso da fiori in plastica, ma sulla mensola non c’era niente. Stava per rimettere giù il vaso quando gli venne un’altra idea. Guardò sotto il vaso. La chiave era lì, tenuta ferma da un pezzetto di scotch. “Accidenti se è furba!” Prese la chiave, l’infilò nella serratura, e un attimo dopo era nel breve corridoio che si apriva su tutte le stanze dell’appartamento. Il suo respiro era affannoso, sibilante.
Leila apparve dalla cucina. Aveva in mano un bicchiere di latte ed era nuda, a parte un paio di pantofole e un triangolo di nylon bianco sul ventre. Spalancò occhi e bocca (due cerchi bianchi di paura, un cerchio rosa di colpa) appena vide Redpath.
— John! — Cercò di coprirsi il seno. — Cosa fai? Non hai il diritto!
Redpath le si avvicinò. — Non ne ho il diritto? Avrò almeno gli stessi diritti di Henry. Quindi tu devi essere giusta, devi fare parti uguali. E così che si comporta una donna liberata, no?
— Esci subito di qui.
— Inutile, Leila.
— Vuoi che chiami la polizia?
— Hanno diritto a qualcosina anche loro?
— Pazzo! Sei così… — Leila indietreggiò, poi improvvisamente si voltò e corse in cucina. Gettò il bicchiere di latte nel lavandino, rompendolo.
Redpath la seguì. Arrivò in tempo per vederla scomparire oltre la porta che dava in soggiorno. Il telefono suonò lievemente quando lei alzò la cornetta. Redpath trovò un coltello da cucina col manico di palissandro, lo prese. La lama scintillava gloriosamente.
Il coltello della liberazione!
“Se vuoi essere liberata, cara, ti libererò. Hai scelto l’uomo giusto.”
Balzò in soggiorno. Si muoveva così in fretta, così agilmente, che gli sembrava di volare. Leila era al telefono, girata di schiena. La sua schiena era morbida, liscia, immacolata, bella in modo quasi doloroso. Redpath la trafisse col coltello, in basso, a destra della spina dorsale. La forza della sua spinta mandò Leda a precipitare sul divano. Gemette raucamente, e il telefono le sfuggì di mano. Si voltò, lo guardò, tentò di spingerlo via, ma lui continuò a colpirla con furia mortale, alzando e abbassando il coltello all’infinito. Poco per volta, l’espressione offesa dei suoi occhi si mutò in sorpresa; e poi lei non fu più Leila, diventò una bambola a grandezza naturale che fissava il soffitto con uno sguardo vitreo, preoccupato.
“Ecco fatto! Adesso sai cosa significa essere liberata. Spero che tu abbia imparato la lezione, ragazza mia.”
Redpath si alzò, trionfante, si allontanò dal divano. Il telefono faceva le fusa sul pavimento.
“Devo trovare un posto più sicuro.”
Guardò quelle due cose oscene, scarlatte, che erano le sue mani, e sentì nascere una fretta gelida. Muovendosi con lentezza estrema, tornò in cucina e cominciò a lavarsi le mani. L’acqua fredda gli causò una fitta improvvisa alla sinistra, e scoprì di essersi ferito. Sul pollice aveva un profondo taglio diagonale da cui il sangue usciva di continuo, più in fretta di quanto riuscisse a lavarlo. Strappò un foglio di carta dal distributore appeso alla parete, tamponò la ferita al pollice e corse all’ingresso. La porta era ancora leggermente aperta. Guardò fuori, scrutò il mondo con gli occhi di uno sconosciuto, si assicurò che non ci fosse nessuno sulle scale o sul retro della casa. Nel giro di un minuto aveva recuperato la bicicletta e pedalava verso il centro di Calbridge, sicuro, tranquillo. Il sole gli scaldava la schiena.
Il ritorno alla normalità fu come il cozzo contro una barriera invisibile.
Frenò di colpo. La bicicletta si impennò, e lui si trovò sbalzato sul manubrio. Sentì un colpo al petto. Precipitò sulla ruota anteriore e si trovò a fissare il mosaico grigio della strada. La sua faccia si contorse, diventò una maschera di orrore e d’incredulità. Un filo sottile di saliva uscì dalla sua bocca spalancata.
“Cos’hai fatto?”
“Cos’hai fatto?”
— Problemi, signore? — La voce del giovane poliziotto sembrava molto cordiale; però i suoi occhi scrutavano Redpath con freddo interesse professionale. La sua faccia era rosea e decisa, rasata alla perfezione; la faccia di un uomo che non si sarebbe cacciato da solo nei guai, ma che non si sarebbe mosso di un millimetro per evitarli.
— Cosa? — Redpath spostò lo sguardo dal poliziotto alla macchina di pattuglia, arrivata senza che lui se ne accorgesse.