Nevison gli aveva chiesto di badare, nel suo racconto, sia ai fatti reali sia a quelli immaginari, senza distinzione; e lui riferì tutti i particolari che ricordava delle allucinazioni, dei sogni e degli incubi. Parlò per quasi un’ora. Pardey e Nevison di tanto in tanto prendevano appunti, anche se era in funzione il registratore. Quando raccontò di lei, particolarmente durante la scena dell’omicidio, Leila arrossì e restò a fissarsi le mani posate sul tavolo. Sembrava pensierosa, a disagio. Redpath si scusò con lei mentre Nevison cambiava il nastro del registratore.
— I sogni dovrebbero essere proprietà privata — le disse. — Ci scommetto che il contratto con l’istituto non prevede cose del genere.
Lei gli sorrise debolmente. — Non avevo capito cosa ti stava succedendo.
— Non l’avevo capito nemmeno io. — Anche lui cercò di sorridere. — E sai qual è la cosa peggiore? Mi è venuto in mente adesso. Devono avermi fregato la pompa della bicicletta!
— Ma tu scherzi sempre?
— Non è uno scherzo — le rispose, fingendosi serio. Il fatto di poterle parlare, di vederla viva, gli sollevava lo spirito. — La pompa era nuova di zecca. Probabilmente l’hanno riverniciata e spedita in Europa. Ho sentito dire che c’è un mercato enorme per le…
— Secondo nastro — intervenne Nevison. — Riprendi dal punto in cui ti eri interrotto, John.
Redpath annuì, ricominciò il racconto. Si fermava di tanto in tanto a chiarire qualche particolare, su richiesta di Nevison. Narrò l’attacco epilettico, la fuga all’alba dalla casa di Raby Street. Adesso che era lì, nell’ufficio di Nevison con le pareti coperte di libri, così tranquillo, gli venne la tentazione di non parlare della spedizione in cantina, di non ammettere che si era lasciato spaventare solo da un rumore insolito. Ma il registratore era lì a ricordargli che aveva promesso di confessare tutto, per amore della scienza. Quindi raccontò tutto, scrutando con una certa vergogna le facce degli altri, e concluse con l’incontro con Pardey al posto di polizia. Quando smise di parlare, il silenzio nella stanza era così intenso che il ronzio del registratore sembrava assordante, mostruoso, gelido. Nevison lo spense. All’interno del registratore, per un attimo, si accese una luce intensissima.
— Credo proprio di dovere le mie scuse a John — disse Frank Pardey, alzando gli occhi dal blocco per appunti. — Non avevo idea degli esperimenti che fate qui. Non credevo che usaste droghe. Naturalmente sono qui soprattutto nella veste di amico di Leila, però penso che se iniettate roba del genere ai vostri soggetti dovreste tenerli sotto controllo finché l’effetto non cessa.
Nevison scosse la testa. — I composti chimici che usiamo non sono allucinogeni.
— Però fanno vedere cose che non esistono — disse Redpath, sarcastico. Scoprire che Nevison rifiutava ogni responsabilità per quello che gli era successo lo sorprendeva e lo irritava.
— Questa è telepatia — ribatté Nevison. — Se sei telepatico, vedi cose che non hai sotto il naso.
— Un’altra cosa sorprendente… La telepatia! — Pardey si agitò sulla poltrona, guardò gli altri con un sorriso perplesso. — Credevo di sapere tutto quello che succede in città… Ma gli esperimenti di telepatia! E proprio al Jeavons, poi!
— Il concetto di telepatia è accettato dappertutto.
— Non dalle nostre parti — disse Pardey, calcando la voce. — Qui c’è ancora gente che ha i suoi dubbi sul telefono.
Redpath guardò Pardey, leggermente sorpreso, quasi convinto che il poliziotto avesse detto qualcosa d’importante. Adesso che ci pensava, l’Istituto Jeavons (tradizionalista, conservatore, provinciale, non certo un tempio del sapere, semmai un serbatoio di conoscenze tecnologiche utili all’industria locale) gli sembrava il posto meno adatto per un investimento di tempo e denaro in ricerche parapsicologiche. E lui, dato che lavorava lì, non ci aveva mai pensato…
— La cosa che mi lascia davvero sbalordito — disse tranquillamente Nevison, abbandonando un discorso che per lui doveva essere marginale — è il grado di funzionalità dei diversi livelli di coscienza di John, la capacità di scegliere alcuni elementi percettivi e inserirli in un contesto globale a sfondo extrasensoriale o comunque soggettivo. — Si tese in avanti, a scrutare la faccia di Redpath.
— John, ti è ben chiaro che ieri non sono andato a casa di Leila? Le ho solo prestato la macchina per una decina di minuti.
— Sì, adesso lo so.
— Quando Leila è ripartita, non l’hai vista al volante?
— No. I finestrini riflettevano troppa luce. Mi hanno abbagliato.
— E tutto il resto era normale?
— Be’, la vista mi tremolava un po’. Ricordo che ho pensato al distacco delle retine.
— In altre parole, hai avuto l’impressione di vedere un’immagine proiettata su uno…
— Scusatemi, dottor Nevison — intervenne Pardey. — Io non sono dell’ambiente, e voglio togliermi dai piedi il più presto possibile. Ma ho bisogno di fare qualche domanda a John.