Quindi, Woodstock Road non si trovava mai completamente al buio; ma già da un po’ la notte si era impossessata delle stradine trasversali della zona. Lì i lampioni mandavano una luce più debole, ed erano molto meno numerosi. Alcuni poi non funzionavano più, e i tecnici comunali non se ne erano mai accorti; altri erano stati rotti, o per il piacere del vandalismo o per loschi interessi. Bastava allontanarsi di poche centinaia di metri dalla via principale, svoltare un paio di angoli, per entrare in una regione buia dove i passanti erano rari. Chi si avventurava fuori la notte di solito camminava in fretta, a testa bassa, e si faceva i fatti suoi.
E in Raby Street non c’era proprio nessuno, nessuno che potesse accorgersi che all’improvviso si erano accese le luci dietro le finestre della casa contrassegnata dal numero centotrentuno.
Per un attimo Redpath si trovò a guardare il pavimento verde-crema; ebbe paura che l’incubo ricominciasse, ma il tono del sogno era diverso. Riuscì a identificare subito il pavimento luminoso, capì senza il minimo dubbio che le mattonelle luminose facevano parte di una grande macchina. Automaticamente paragonò quella struttura al pannello di un computer, al quadro comandi di un aereo; ma i principi tecnici usati per costruire quella cosa erano lontanissimi dalle conoscenze della razza umana. Sentiva fluire in sé informazioni di cui non comprendeva né la forma né il contenuto. Al di sotto di alcune di quelle lastre trasparenti s’intuivano movimenti continui, furtivi. Redpath sapeva che a muoversi non erano pezzi meccanici o elettronici: la macchina incorporava in sé componenti organici, vivi, anche se la loro funzione gli era incomprensibile.
Quell’immagine complessa era perfettamente stabile davanti ai suoi occhi. Non era un ricordo, non era un’illusione, non era un sogno.
“Questa è una realtà. Non è la mia realtà, però è una realtà, e io la sto vivendo.”
Come già era accaduto, sulle lastre avanzò una massa scura, simile a sangue coagulato. Nei punti in cui veniva trafitta dalla luce che saliva dal basso, una luce rossa come il vino, la massa rivelava una struttura interna filamentosa. Sul fronte della massa c’era un brulicare costante di pseudopodi, che saggiavano le condizioni del pavimento prima di essere sommersi da fluidi neri e venire riassorbiti. Ma Redpath non sentiva né paura né repulsione.
“C’è una parte del mio corpo in questa realtà. Io sono un nato-Tre-Volte, in questa realtà, e ho viaggiato a lungo per inseguire un nato-Una-Volta, un orrore che ha tentato di infrangere il ciclo eterno di ingestione, purificazione e rinascita. Ha commesso il delitto estremo contro la mia razza, il delitto di permettere che il suo bioplasma degenerasse col trascorrere del tempo. Questo morbo, perché ormai quell’essere è divenuto un morbo, dev’essere stroncato. Permettere a un simile abominio di esistere sarebbe un delitto altrettanto enorme.
“In questa realtà, durante gli ultimi anni di inseguimento ho sondato i suoi sensi con ‘cura estrema, e so che è ferito, o forse che il processo di degenerazione è in fase molto avanzata, perché in tutto questo tempo non ha fatto uso dei suoi poteri più forti. Quindi deve trovarsi vicino alla sua nave. Sarà sufficiente localizzare la nave…
Come già era successo, quattro lastre trasparenti al centro della struttura colorata divennero scure, si trasformarono in un quadrato unico, assumendo l’aspetto di un coperchio trasparente che chiudesse un pozzo di tenebre. Ma le tenebre erano tutt’altro che totali. Erano solo lo sfondo su cui si muoveva il disco brillante di un pianeta, che era senz’altro la Terra. Il pianeta si avvicinava.
“Sarà sufficiente localizzare la nave, e poi…”
A Redpath era successo qualcosa.
Ebbe la sensazione di perdere contatto. La geometria di luci oscillò. L’immagine si distorse, con colori e proporzioni alterate; e improvvisamente si trovò staccato da quella realtà, e i pensieri che aveva condiviso (freddi, ascetici, disumani) vennero travolti da un vortice di emozioni oscure. La paura si mischiò all’odio, alla collera e al disprezzo, ma la paura era predominante, lo scagliava in un buio furioso, agitato, traversato a tratti da frammenti di memoria, immagini parziali, brandelli di un’esistenza aliena, inconcepibile. Per un attimo, quella vita aliena fu la vita di Redpath.
Poi cominciò a urlare.
“No! No! No! No! No!”