— Che commento carino. — Chissà perché, si sentiva stranamente eccitato dalla sfida implicita nelle parole di Leila. — Tu sei una persona razionale, e siccome non hai vissuto personalmente quello che ho vissuto io ieri, vuoi altre prove. Il che è giustissimo, giustissimo. — Parlava con aria accomodante, quasi imitando le più dolci maniere professionali di Henry Nevison. — Che altre prove posso offrirti per sostenere la mia tesi? È un problemino interessante.
Tutt’altro che divertita, Leila lo guardò quasi disperata. — John, capisci cosa stai dicendo? Ti ricordi che stamattina ci hai raccontato di aver trovato due cadaveri anneriti in quella vasca? Vuoi cercare di dimostrare che è successo anche questo?
La sicurezza di Redpath vacillò. — Non faceva parte dell’incubo? Sta diventando difficile capire cos’era vero e cos’era… — Si guardò attorno a occhi socchiusi, mentre un ronzio gli nasceva in testa, e il suo sguardo si posò sul telefono vicino al letto. Gli era venuta un’idea, strana, un’idea che in quel contesto gli sembrava tanto più strana in quanto era esclusivamente pratica. Prese il telefono, fece il numero del centralino, chiese che gli passassero l’informazione elenco abbonati internazionale.
Leila mise giù la lima. — Cosa fai?
— Non preoccuparti — le rispose, eccitato e trionfante. — La telefonata la pago io. Dammi una penna, spicciati! — Prese il pennarello che lei gli tese, restò in ascolto. In poco meno di un minuto aveva scritto il numero del “Gilpinston Bugle” sulla pelle del ginocchio destro.
— Ecco qua — disse, indicando la serie di numeri. — Volevi delle prove, e le avrai.
Leila gli si avvicinò. — Ti ho chiesto cosa stai facendo.
— Stammi a sentire. L’Illinois è indietro di cinque o sei ore rispetto a noi, per cui lì dovrebbe essere pomeriggio. — Formò il prefisso internazionale per gli Stati Uniti, seguito dal numero del giornale. Gli risposero quasi subito. — Mi chiamo John Redpath e chiamo dall’Inghilterra — disse, in tono sbrigativo. — Ditemi, per favore, il “Bugle” è un quotidiano?
— Sissignore. Usciamo sei volte la settimana. — La voce della ragazza suonava chiarissima. — Vi serve qualcosa?
— Non c’era bisogno di una telefonata intercontinentale per una prova del genere — sussurrò Leila, furiosa. — Potevamo benissimo informarci anche da…
Redpath si portò un dito alle labbra e ricominciò a parlare. — Ho una storia interessante per il vostro giornale. Volete passarmi un cronista? — Durante la breve attesa sorrise a Leila, pienamente sicuro delle proprie risorse.
— Cronaca. Parla Dave Knight. — La voce era un po’ diffidente. — Avete detto che chiamate dall’Inghilterra, signor Redpath?
— Sì, infatti. Io lavoro all’Istituto Jeavons di Calbridge, che è il centro sperimentale dell’University College del Sud Haverside. Il mio reparto conduce ricerche su alcuni aspetti dell’ESP, ed è successo qualcosa che, vi prego di credermi, è in diretto rapporto con la città di Gilpinston.
— Avete detto ESP? — Adesso la voce era attenta.
Redpath strizzò l’occhio a Leila. — Precisamente.
— C’è qualcuno di Gilpinston che lavora con voi?
— È una cosa più interessante, Dave, e credo che ne converrete anche voi. Il motivo per cui vi ho chiamato è che uno dei nostri soggetti sostiene di aver proiettato la propria coscienza in una casa di Gilpinston. Dice di averla visitata ieri senza spostarsi da qui, se rendo l’idea.
— State parlando del corpo astrale”?
— Qualcosa del genere, anche se noi non useremmo quel termine. Il punto è che il soggetto ci ha dato una descrizione precisa della casa e della strada in cui si trova. Qui non abbiamo modo di controllare fino a che punto c’entri la sua immaginazione, ma se il suo racconto coincidesse con la realtà avreste fra le mani una storia piuttosto interessante. Che ne dite?
Ci fu una pausa. — Sarebbe una storia interessante se fossi sicuro che non si tratta di uno scherzo, signor Redpath. Non voglio insinuare niente, ma…
— No, no! Fate benissimo a dimostrarvi scettico. Lo sono anch’io. Vi lascerò il mio numero di telefono in modo che possiate richiamarmi, e vi lascerò anche il numero del professor Nevison all’istituto. Potrete parlare con lui domani e avere conferma di tutto prima di andare in stampa. Naturalmente, se preferite che mi rivolga a un altro giornale…
— No, assolutamente no, signor Redpath. Sono lieto che abbiate chiamato noi. Avete detto che vi ha dato un indirizzo preciso?
— La strada è la tredicesima Avenue S.E… e il numero della casa è due-due-due-quattro. Vi sembra possibile? — Ricevuta conferma, Redpath descrisse la casa, disse che forse il proprietario si chiamava Rodgers, e raccontò tutti i dettagli che ricordava: la porta blu pallido, i numeri di metallo disposti in diagonale, l’idrante appena fuori, il “Gruber’s Delicatessen” all’angolo, il bar “Pete’s Palace”… Concluse dandogli il numero di telefono di Leila e dicendo che aspettava una chiamata di conferma.
— Okay, non mi ci vuole molto ad arrivare alla tredicesima Avenue e controllare — rispose Knight. — C’è altro?