Redpath correva in un corridoio distorto. Gli angoli erano spigolosi, impossibili da superare a piena velocità; e gli era ancora più difficile proseguire perché il corridoio era costruito in modo da ricordare una serie di stanze comunicanti, come se ne trovano in ogni casa. C’erano un atrio, una cucina e un soggiorno, ripetuti all’infinito; e in soggiorno c’era un televisore che splendeva nelle tenebre, come una finestra in miniatura. Vicino al televisore c’era una ragazza seduta sul divano, che si dondolava terrorizzata avanti e indietro, che si copriva la faccia con le mani. L’udì gemere sottovoce; poi, di colpo, la riconobbe, e si sentì colpevole, responsabile.
— Leila? — Redpath si aggrappò alla porta della cucina, non per sostenersi ma per scacciare gli ultimi residui di quell’impulso cieco alla fuga. — Non piangere, Leila. Adesso so tutto. Tutto.
Lei era sempre terrorizzata, cercava di farsi piccola piccola.
Redpath attraversò la stanza, spense il televisore, s’inginocchiò davanti a lei. — Non piangere, Leila. Dobbiamo darci da fare tutt’e due e c’è pochissimo tempo. Ti prego, guardami.
Lei alzò lentamente la testa. La sua faccia era distrutta, imbruttita, e lui capì subito che il primo passo del suo piano era calmarla, ridarle fiducia. Da un certo punto di vista, il compito che attendeva Leila Mostyn era anche più gravoso del suo, e per poterlo eseguire lei doveva sapere tutto, avere fiducia.
— Non aver paura di me — sussurrò. — È stato un colpo terribile, ma adesso sto bene. Dobbiamo parlare. Vuoi starmi ad ascoltare per un po’ e cercare di capire quello che dico, per quanto ti sembri fantastico? Vuoi?
— Cosa c’è, John? — Le sue labbra sembravano paralizzate, quasi immobili.
Lui respirò profondamente. — Oggi ho raccontato cose incredibili, e nessuno ha voluto credermi, però poi ho trovato una prova concreta. Tienilo a mente e abbi fede in me. Vedi, il progetto di ricerca sulla telepatia è andato meglio di quanto non avessimo mai pensato. Insomma, io mi sono trovato in contatto telepatico con esseri di un altro pianeta. Ti sembra troppo fantastico?
— Non se lo dici tu.
— Bene! Stiamo facendo progressi. Adesso devi cercare di capire che questi esseri sono completamente al di fuori della nostra esperienza. Non hanno il nostro aspetto e non pensano come noi. I loro corpi sono molli, quasi completamente liquidi. Scivolano in avanti come masse informi, come gelatina non ancora rappresa, però sono intelligenti e posseggono una struttura sociale. Mi segui? Il contatto con quella mente non è durato a lungo, ma è stato chiaro, fin troppo chiaro. Adesso so che la loro società si basa su una forma di cannibalismo. Quando un individuo raggiunge una certa età si lascia mangiare o assorbire da un essere più giovane, però sopravvive, rinasce, si reincarna. Anche se forse non sopravvive sul serio. Forse per loro è solo una questione di fede, una religione, e probabilmente è da questo che sono nati i guai. Credo che anch’io vorrei scappare, se arrivasse il mio momento. Forse dovrei essere più comprensivo con la cosa di Raby Street.
Leila fece per girare la faccia, ma Redpath le mise una mano sotto il mento, la costrinse a guardarlo.
— Quell’essere è fuggito, Leila. E parecchio tempo fa, venti o trent’anni fa, forse durante la guerra, è arrivato sulla Terra, probabilmente per caso. Più o meno so dove dev’essere atterrato. Dietro Raby Street mancano un paio di case, e direi che la sua astronave è finita lì. Il danno era attribuibile a una bomba, magari a un’esplosione di gas, per cui nessuno ha mai avuto sospetti, non si è mai scavato sottoterra… È cominciata così. Per capire tutto, però, devi sapere di più sul conto di questi alieni. Hanno poteri parapsicologici, Leila. I loro corpi servono a ben poco dal punto di vista materiale, ma in compenso hanno sviluppato tutta una serie di capacità formidabili: telepatia, psicocinesi, precognizione, e ancora altre doti che noi non immaginiamo neppure. Ad esempio il controllo mentale sugli animali, che probabilmente serve a procurare loro il cibo. Si potrebbe definire teleipnosi, per quanto io dubiti che…
— John, possiamo bere un po’ di tè? — chiese Leila, tesissima. — È tutto così… Vorrei un po’ di tè.
— Buona idea. — Redpath usò un tono di voce caldo, incoraggiante, per dimostrarle che era perfettamente in sé, che non sragionava, per rendere più convincenti le sue parole. Alle porte della sua mente bussava una sensazione di estrema urgenza, ma non poteva fare niente finché Leila non si fosse pienamente convinta. Si tirò indietro, la lasciò alzare, la seguì in cucina. Leila riempì il bricco elettrico. Sembrava stanchissima, distrutta. Redpath decise di procedere con cautela ancora maggiore.