— Sì, c’è il problema della faccia. — Nevison si grattò il mento per un attimo. — Però abbiamo anche registrato un caso o due di trasmissioni doppie, no? Tu abiti sopra alcuni negozi… Non c’è una macelleria?
— Sì, però vende quello che vendono tutte le altre macellerie. Nel mio isolato, nessuno nutre predilezioni per l’homo sapiens scorticato.
— Pensavo, anche se si trattava solo di un’ipotesi, che forse il tuo macellaio aveva in mente qualcuno mentre sistemava la carne in negozio, e tu potresti aver ricevuto una trasmissione doppia.
— Non va — disse Redpath, debolmente. — Non va proprio.
— Cos’è che non ti conviene nella mia idea?
— È troppo complicata.
— Non vuol dire che non sia vera.
— Non so, però… — Redpath s’interruppe. La sua memoria stava registrando un dato nuovo, la prima fiamma che annunciava l’inferno. — L’effetto piccolo schermo non c’entra niente. Le cose si sono messe in moto prima che io guardassi nell’occhio magico. Quando mi sono chinato a raccogliere la posta, mi sono accorto subito che davanti alla porta c’era qualcosa, ed è per questo che ho guardato fuori… E poi posso aggiungere un’altra cosa! Le lenti dell’occhio magico distorcono tutto, e quella faccia era distorta…
Nevison uscì in un sorriso estremamente gentile, per fargli capire che aveva detto qualcosa di eccezionalmente stupido. — Allora vorresti raccontarmi che quella creatura uscita da un film dell’orrore se ne stava davanti alla porta di casa tua. In carne e ossa, anche se sarebbe meglio dire in sangue e ossa.
— Non volevo dire una cosa del genere — rispose Redpath, e si chiese cosa volesse dire.
— Certo, scusa. Hai aperto la porta, hai visto che in corridoio non c’era niente di strano, per cui saprai benissimo che deve per forza trattarsi di un fenomeno soggettivo. Hai controllato che non ci fosse niente, no?
— Sì.
— Eccoci al punto, John. E la prova definitiva.
Redpath annuì. — La prova che sto impazzendo.
— Scusa se te lo dico, ma mi sembra che le tue idee sulla pazzia derivino direttamente da Charlotte Brontë e da Edgar Allan Poe, e questi due signori non erano psichiatri di chiara fama. — Nevison schioccò le labbra. Una bella frase, una frase di cui compiacersi, da mandare a memoria per ripeterla in occasioni future.
— Di’ un po’ quello che vuoi. — Redpath stava perdendo la calma. — Io so solo che mi sono spaventato a morte, che cose del genere non mi vanno a genio, e che probabilmente sono solo conseguenze dei nostri esperimenti.
— Lo penso anch’io — disse Nevison. Imprevedibile come sempre, tentava un’altra tattica. — Devi ammettere, John, che da quando abbiamo cominciato a somministrarti il Composto Centottantatré le tue doti telepatiche, che all’inizio erano solo latenti, si sono sviluppate in maniera enorme. Certo, non conosciamo ancora le tecniche per controllare queste doti, però tu diventi sempre più cosciente dei tuoi mezzi, non è vero? La settimana scorsa mi raccontavi che la mattina, quando ti svegli, “senti” cosa succede negli altri appartamenti del condominio. Giusto?
— Non vedo cosa c’entri con…
— Voglio solo dirti che per noi si tratta di una faccenda del tutto nuova. A quanto sembra, cominciamo a capire che i contatti mente-a-mente non si verificano sempre a livello cosciente… E tutti noi abbiamo i nostri mostri sepolti in fondo alla coscienza, John. Tu non hai mai incubi?
— Qualche volta. — Redpath si sentiva in balìa di Nevison.
— Li ho anch’io. Dobbiamo accettarli, e immagino che basti un po’ di sforzo per accettare eventuali incubi diurni.
— Dobbiamo? Cioè io li devo accettare?
— Tu sei il punto focale dell’esperimento, John. — Nevison si alzò, fece il giro della scrivania e si sedette sull’orlo, di fronte a Redpath. La manovra aveva lo scopo di creare un’atmosfera di amicizia serena, informale. — Senti, capisco benissimo che un’esperienza del genere ti abbia scosso, però non è giusto che tu prenda una decisione sul tuo futuro mentre sei ancora sconvolto. Non è giusto nei nostri confronti. Per oggi salta i test. Scrivi oppure detta un rapporto completo su quello che ti è successo stamattina, e fa’ conto che si tratti di dati sperimentali. Non dovresti metterci molto. Poi ti lascio libero per tutto il giorno. Fai quello che vuoi, pensaci. Domattina ne riparliamo. Che ne dici?
— D’accordo. — Redpath, riluttante, si alzò.
“Scriverò le mie dimissioni. Così sarà tutto a posto. Senza stare a discutere. E non mi fregheranno più con tutte le loro moine, non cancelleranno le mie parole.”
Se ne andò senza dire altro. Attraversò un corridoio, raggiunse lo stanzone sul retro dell’edificio che nessuno usava come ufficio fisso, e che serviva da base operativa per tutti coloro che non avevano abbastanza autorità da meritarsi un ufficio tutto loro. Su sei tavoli, quel mattino uno solo era occupato: da Terry Malan, laureando in psicologia che avrebbe dovuto lavorare alla tesi, ma che in realtà passava gran parte del tempo a riparare pezzi di motocicletta. Davanti a sé aveva una dinamo a pezzi, e la fissava con espressione torva.